Giustizia riparativa: nuove prospettive, per protagonisti rinnovati…
Le riflessioni del centro studi
Di Stefano Musolino – Sostituto Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Segretario nazionale di Magistratura democratica
Una breve premessa è necessaria per tentare di anticipare, sinteticamente, taluni fraintendimenti in cui potrebbe incorrere un lettore attratto dal sintagma Giustizia Riparativa, utilizzata dal Legislatore del Decreto Legislativo nº 150/2022 che l’ha introdotta nel nostro sistema penale. Non è giustizia riparativa, ma riparatoria: il risarcimento del danno, i lavori di pubblica utilità, le attività di volontariato sociale, le forme di cosiddetta messa o affidamento alla prova. Solo nella prima e non nella seconda, infatti, vi è un percorso di conoscenza dialogica tra autore del fatto e vittima (incluso, eventualmente, il suo circuito parentale o comunitario, coinvolto nel fatto) che ambisce a sanare la ferita inferta dal reato. La giustizia riparativa, poi, non ha una vocazione deflattiva dei procedimenti pendenti, non è, infatti, alternativa e neppure sussidiaria al procedimento penale, piuttosto corre parallelamente a questo, al fine di garantire benefici premiali all’autore del fatto, in caso di esito positivo del percorso intrapreso.
Per questa ragione, l’accesso al programma riparativo da parte di autore e vittima del reato è fondato su base volontaria, sebbene la mancata adesione di quest’ultima possa essere surrogata tramite la partecipazione al percorso di una vittima di reati omologhi a quello per cui si procede (con esiti artificiosi, non perfettamente allineati alla natura dell’istituto). Nessuno, neppure il Giudice, quindi, può obbligare le parti ad accedere a un programma di giustizia riparativa che resta un’occasione offerta dall’ordinamento, per sanare i conflitti generati o che hanno generato il reato. E il programma riparativo non è neppure adatto a tutte le fattispecie di reato; e, infatti, il Giudice vi ammette le parti solo allorquando ritiene sia utile alla risoluzione delle questioni derivanti dallo specifico fatto sottoposto alla sua cognizione, intuendo la possibilità di ricucire relazioni e rispristinare rapporti fiduciari; mentre, in mancanza di questi presupposti, l’accesso ai servizi di giustizia riparativa ne tradisce la vocazione tipica, per snaturarlo in uno strumento di attenuazione della pena o dei suoi effetti.
Fissato il perimetro generale dell’istituto e chiariti i suoi scopi, va criticamente osservato come la norma si occupi e preoccupi molto dell’interesse dell’autore del reato all’ammissione e svolgimento del programma riparativo, per beneficiare degli eventuali esiti positivi in sede penale, mentre sia meno attenta ai diritti della vittima. E anzi alcuni passaggi trascurano il rischio di una vittimizzazione secondaria della persona offesa del reato durante il percorso riparativo.
Basti pensare che il Giudice, per valutare l’ammissione dell’imputato al percorso riparativo, debba fare interloquire la difesa di quest’ultimo, il pubblico ministero, ma non la vittima che ne dovrebbe essere co-protagonista (ma che può essere, come già accennato, artificiosamente surrogata). E se a ciò si aggiunge che l’imputato, per essere ammesso al programma riparativo, non deve ammettere i fatti essenziali del caso (come, invece, pretende la Direttiva 2012/29/Unione Europea quale presupposto di accesso ai servizi di giustizia riparativa), è evidente come la vittima sia indotta ad avviare un percorso ricco di insidie che la espone al rischio di restare coinvolta in ulteriori sofferenze, invece di essere sostenuta in un percorso di emancipazione da queste. L’esempio rende evidente come, a fronte di due diritti confliggenti: quello dell’autore del fatto di non rendere dichiarazioni pregiudizievoli per l’esito del processo penale e quello della vittima di avviare un percorso riparativo della sofferenza subita con chi riconosce di averla cagionata, il Legislatore abbia privilegiato la prima.
Continua…
Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023