Giustizia riparativa: un nuovo percorso per la risoluzione dei conflitti penali
Le riflessioni del Centro Studi

Di Stefano Musolino – Sostituto Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Segretario nazionale di Magistratura democratica
Un rimedio a quanto trattato in precedenza è offerto dal successivo giudizio di fattibilità del programma riparativo, affidato ai mediatori che, collocati in posizione di equi-prossimità, tra presunto autore del fatto e vittima sono chiamati a valutare la sussistenza dei presupposti per avviarlo, dopo una serie di colloqui preliminari. Il concetto di equi-prossimità e non equi-distanza, esprime bene l’azione dei mediatori, veri e propri registi dal dialogo riparativo, che devono immergersi nel conflitto, approssimandosi alle parti coinvolte per aiutarle a riconoscersi e andare oltre la sofferenza generata dal reato, con una conclusione del percorso che le trovi d’accordo per un esito dichiarativo (simbolico) o prestazionale (materiale) positivo.
Ben si comprende, allora, come lo spazio per il dialogo delle parti sia non solo garantito da confidenzialità e riservatezza, ma sia anche neutro ai fini del giudizio di responsabilità penale, non potendo interferire affatto con quest’ultimo, neppure in caso di suo esito negativo e non potendo essere utilizzate nel giudizio penale le dichiarazioni rese in quella sede dall’imputato.
Offerto uno sguardo sintetico sull’istituto, qualche considerazione finale può essere utile a comprendere le nuove sfide che si aprono per gli attori del processo penale.
Come tutte le novità che mutano la prospettiva e sollecitano nuove impostazioni e l’abbandono di vecchi paradigmi, il successo della riforma passa per un’autentica adesione dei suoi protagonisti allo spirito che l’ha generata, senza pregiudiziali ostilità, spesso dettate da convincimenti consolidati nella parallela sfera delle regole del processo penale.
La stagione del disagio relazionale che attraversa la società moderna (che trova il suo apice nell’esplosione dei reati di genere) si è riversata nel procedimento penale, svelando (nonostante aumenti delle sanzioni e riti speciali, come il cosiddetto codice rosso) la sua incapacità di offrire soluzioni utili al contenimento delle tendenze a delinquere. Ecco, allora, che la giustizia riparativa può offrire alternative diverse e più efficienti da quelle proprie di una sentenza semplicemente punitiva, affiancandosi a questa per avviare percorsi di risanamento delle relazioni perverse che hanno dato causa o sono l’esito dei reati.
Liberata dalla logica efficientista che ispira la cosiddetta riforma Cartabia, la disciplina della Giustizia Riparativa può riportare al centro dell’attenzione le persone, perimetrare in un circuito di nuove comprensioni e conoscenze le relazioni che sono state coinvolte nella vicenda delittuosa, contribuire a sanare le ferite e tentare l’avvio di una nuova fase di rapporti fiduciari tra le parti coinvolte (e con maggiore ambizione e audacia tra queste e tutta la comunità). Quella riparativa, infatti, è una giustizia orizzontale, basata sull’ascolto e il riconoscimento reciproco, per la ricostituzione di un legame tra le persone o tra queste e la comunità, che si affianca alla giustizia verticale che è quella penale in cui lo Stato esercita la pretesa punitiva. Il ripristino di relazioni fiduciarie è la base di una società sana, ma questo obiettivo è estraneo alle funzioni proprie del processo penale, per questo lo spazio di giustizia riparativa diventa il luogo per integrare l’intervento statale sulle vicende penali, con una più marcata attenzione alle persone, in funzione della risoluzione dei conflitti che è uno dei fondamenti inibenti condotte recidivanti. Insomma, nuove prospettive, per protagonisti rinnovati…
Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023
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