Di Francesco Cesare Strangio
«Siamo tutti del paese, solo che abitiamo dalla parte opposta e ci viene più facile andare in piazza» rispose Marco.
«Di chi sei figlio?» domandò la donna.
«Sono il figlio di Antonio Fera» rispose Marco.
«Il figlio di Antonio? Ah… il nipote di Marco Fera?»
«Esattamente!» rispose Marco.
«Alle elementari con tua madre eravamo nella stessa classe. A proposito, come sta?» domandò la donna.
«Bene, grazie!» rispose Marco.
«Salutala da parte mia» concluse la Signora.
Rocco era emozionato per avere sentito Marco pronunciare: Mastro Rocco.
Alla fine della consumazione, Rocco prese il portafoglio e pagò il conto: ci teneva a fare bella figura con la madre di Patrizia.
Al rientro in cantiere, Rocco era immerso nei pensieri come non mai. Voleva gridare a tutti l’amore che nutriva per Patrizia, ma preferì rimanere nell’alveo della riservatezza. Sapeva che, se avesse detto qualcosa di troppo, sarebbe cominciata la lunga ed estenuante danza dello sfottò.
Nella pausa pranzo, invitò Marco ad andare con lui.
Saliti sulla moto, partirono verso il bar dei Tagliaferro: oramai per Rocco era la meta preferita.
Nel sedersi al tavolino, Rocco si dispose con le spalle rivolte alla strada in modo da poter guardare il bancone dove alle diciotto Patrizia, abitualmente, iniziava il turno.
Rocco si alzò e andò dalla signora e si fece dare due birre.
Marco, nel frattempo, iniziò a disquisire con la Signora Tagliaferro; nel girovagare delle parole evidenziò il ruolo di mastro Rocco in seno alla ditta di mastro Filippo Spanò. Aggiunse pure che un giorno tutto sarebbe andato nelle mani di Rocco, giacché lo zio non aveva eredi nel settore dell’edilizia.
Marco mise in atto gli insegnamenti ricevuti della nonna Benedetta, che lo raccomandava di non sminuire mai le persone, ma di dare sempre un grado maggiore a quello che realmente hanno. La nonna Benedetta gli portava sempre il solito esempio: «Quando incontrate un usciere, chiamatelo dottore perché anche se è consapevole di non esserlo ne sarà felice per tutto il resto della giornata. Non dimenticate mai di rispettare le regole perché sono principi indispensabili del vivere civilmente. Quando incontrate una persona e le augurate la buona giornata, sappiate che fino a quando non tramonta il sole, non potete dire o fare cose che contraddicono l’augurio del buongiorno.»
Marco, tutte le volte che si presentava l’occasione, metteva in atto gli insegnamenti ricevuti.
Rocco, nella sua insulsaggine, si era reso conto che se volesse fare bella figura, doveva accompagnarsi con Marco.
Rientrati al cantiere, Rocco prese a lavorare a ritmo forzato: desiderava dimostrare allo zio che anche in sua assenza il lavoro marciava con lo stesso ritmo. Mentalmente Rocco stava maturando il suo futuro esordio a capo della ditta: il subentro era del tutto naturale, poiché non doveva competere con nessuno giacché unico e solo nipote di mastro Filippo, per giunta orfano di padre e di madre.
Conquistare Patrizia significava coronare un sogno che si portava dentro da un pò di mesi. Per quei tempi, oltre a portare prestigio alla famiglia, una maestra garantiva una certa sicurezza economica al nucleo famigliare. Rocco, nel suo fantasticare, immaginava la gente commentare: quello è il signor Rocco Valpreda, il marito della maestra Patrizia Tagliaferro. La nuova architettura di pensiero portò Rocco verso una maggiore responsabilità dentro e fuori il lavoro. Il ragazzo viziato, caduto da bambino dal letto, iniziava a manifestare un certo cambiamento. Alla fine della giornata, Rocco andò a casa e si vestì a festa. Alle venti in punto era davanti al bar dei Tagliaferro. Il cuore bussava con energia alla cassa toracica; era così emozionato che quando entrò nel bar, nel vedere Patrizia dietro al bancone, riuscì a stento a farfugliare: «Buu… Buon… Buonasera, Patrizia!».Solo al terzo tentativo, Rocco riuscì a salutare.
Patrizia aveva i capelli di un colore castano lucido con due grosse trecce che le scendevano fino a metà schiena, il volto tondeggiante e gli occhi azzurri fecero sbandare Rocco. Dal modo con cui si comportava la maestrina, era chiaro che nutriva un certo interesse nei confronti del giovane muratore.
Non sapendo come attaccare bottone, la cosa che venne spontanea a Rocco fu di chiedere del signor Domenico.
L’aver domandato del padre, fece molto piacere a Patrizia che rispose: «È coricato sul divano a causa di un forte mal di testa. È da un pò di tempo a questa parte che lo prende sempre più spesso. Dice di sentire nella testa come se avesse uno sciame di api e il sangue pulsare come se volesse schizzare fuori dalle vene temporali.»
Rocco era travolto dalla passione, sentiva le parole della ragazza, ma non riusciva a seguirne il contenuto. L’unica cosa in grado di formulare, fu di portarlo per una visita presso il vicino ospedale.
Patrizia rispose che ci avevano già pensato, solo che aspettavano il rientro del fratello che stava a Napoli, dove frequentava il quarto anno del corso di Laurea in medicina, presso l’università Federico II.
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