“La fatica dell’intero”: il pensiero dialogante nel nuovo libro di Claudio Sottocornola
Dall’Ufficio stampa
Verità o appartenenza? Coscienza o legge? Bisogno o libertà? Uguaglianza o gerarchia? Eroismo o gentilezza? Tecnica o mistica? Sono alcune delle opzioni che Claudio Sottocornola contrappone nel suo La fatica dell’intero. Il pensiero come arte dell’incontro (Oltre Edizioni, 2024), proponendo una nozione di verità come sintesi, che vede nell’atteggiamento dialogante, empatico e inclusivo lo strumento più idoneo a perseguirla. Approfondendo una categoria elaborata dal grande teologo Raimon Panikkar, egli individua nel mythos fondativo di ognuno l’origine delle diverse interpretazioni del mondo, che occorre sforzarsi di capire in ordine all’incontro, sempre possibile, con l’altro. Tale mythos è infatti la sede dei nostri ricordi primigeni, insieme di volti, paesaggi, suoni, colori, atmosfere, idee, che guideranno il percorso della nostra vita, come inesauribile fonte di energia e motivazioni profonde.
Amare tale mythos in noi e nell’altro significa di conseguenza sviluppare una concezione della conoscenza come interpretazione, e dunque come integrazione di prospettive, in cui anche il punto di vista dell’altro è prezioso (perché prezioso è il suo mythos come il nostro) e quindi includere opzioni anche contrastanti in una formulazione di senso che, in qualche misura, le avalla entrambe, superando la semplice negazione di uno dei due termini. Mostrare che una risposta univoca non è la migliore soluzione di un quesito, ma forse espressione di un eccesso di semplificazione, aprire un orizzonte al gioco delle diverse prospettive in campo, suscitare conversazione per avallare in qualche modo il punto di vista dell’interlocutore, sono solo alcune delle attitudini che Sottocornola intende promuovere con il suo lavoro, nell’intento di contribuire a generare un’esperienza del pensiero come arte dell’incontro, superando luoghi comuni, cliché e appartenenze in favore di un pensiero autonomo, originale e inclusivo.
La fatica dell’intero intende allora promuovere un’attitudine all’incontro in gran parte disattesa dal contesto socio-politico in cui viviamo, ove le appartenenze determinano troppo spesso i parametri (sempre più banali) della discussione pubblica, ormai del tutto contrappositiva. E a tal proposito, Sottocornola cita il grande poeta spagnolo Antonio Machado: “La tua verità! No: la verità/vieni con me a cercarla./La tua, tienitela”. Siamo così di fronte a una concezione della verità come polifonia di voci, più che come solitaria elaborazione solistica.
In un sottile equilibrio fra metafisica classica e pensiero debole, l’autore si sforza così di ottemperare alle opposte esigenze di fornire validi riferimenti teoretico-esistenziali al disorientato lettore postmoderno, insieme relativizzandone le pretese di esaustività, nell’approdo a una comprensione umile ma esigente, rigorosa ma dialogante, inclusiva ma mai qualunquistica.
Nell’Introduzione, a chiarire tale tensione fra metafisica e relativismo, leggiamo:
Quanto più si tende al fondamento, all’origine, a quel che le varie tradizioni spirituali chiamano Dio, tanto più si considera l’unità (equivalente del punto di vista virtualmente divino) come categoria alla cui luce guardare il mondo; quanto più si percepisce la propria natura finita e limitata (e, con linguaggio teologico, creaturale), tanto più si relativizza la propria conoscenza e se ne coglie il carattere situato, parziale, prospettico. Ma è dalla sintesi delle due esperienze (l’anelito al punto di vista divino, la consapevolezza del proprio limite umano) che la nostra conoscenza diventa ermeneutica, e cioè pienamente conscia del proprio carattere prospettico, e dunque rispettosa, accogliente, empatica, dialogante, capace di integrare la prospettiva dell’altro come ricchezza e opportunità nel moltiplicare la propria esperienza dell’essere, e dunque il nostro amore di Dio.
Ne segue una concezione della conoscenza come modalità dialogica, e dunque come gentilezza o caritas, nel segno dell’accoglienza dell’altro come valore, come opportunità, come occasione di ampliamento del proprio orizzonte cognitivo, che resta tuttavia contrassegnato dalla soggettività di ognuno, vero ambito della manifestazione della verità stessa, risultante allora dalla sinergia di colori diversi, tutti ugualmente espressione e manifestazione della medesima luce, evocante in ultimo la trascendenza della verità stessa rispetto a ogni sua possibile manifestazione.
La fatica dell’intero si pone pertanto quasi come un’esemplificazione metodologica, propedeutica all’acquisizione di un habitus cognitivo flessibile, inclusivo, trasformativo, ma anche come occasione per sviluppare atteggiamenti esistenziali empatici, dialoganti, comprensivi dell’alterità, nel segno dello stupore e della scoperta che ogni differenza è una ricchezza espansiva dell’essere e della sua bontà.