Di Francesco Donato Iacopino, Emanuele Procopio, Giovanni Passalacqua ed Enzo Nobile
Il riciclaggio di beni culturali è disciplinato dall’articolo 518-sexies del Codice Penale, che testualmente così recita:
Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce beni culturali provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da cinque a quattordici anni e con la multa da 6.000 a 30.000 €.
La pena è diminuita se i beni culturali provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui i beni culturali provengono non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manca una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.
Il reato di riciclaggio è stato introdotto nel nostro ordinamento con l’art. 23 della Legge nº 55 del 19 marzo 1990 (successivamente modificato dall’articolo 4 della L. nº 328 del 09 agosto 1993) in sostituzione della precedente L. nº 191 del 18 maggio 1978, che puniva la condotta di chi compiva atti o fatti diretti a sostituire denaro o valori derivanti dai delitti di rapina aggravata, estorsione aggravata e sequestro di persona a scopo di estorsione con altro denaro o altri valori e configurava una ipotesi con struttura di attentato e, quindi, a consumazione anticipata.
Tale fattispecie delittuosa, rubricata all’art. 648 bis del CP (che già in origine era stata posta a tutela della identificazione della provenienza delittuosa del bene denaro o genericamente di beni e di altre utilità) oggi, con l’emanazione della novella legislativa nº 22 del 9 marzo 2022, è stata estesa anche ai beni culturali.
Tale tipo di reato, come tutti i reati di possesso, è a consumazione anticipata, posto che la norma tende a impedire che chi detiene o ha l’uso di un bene di provenienza delittuosa possa, a mezzo attività di trasformazione dello stesso, impedirne in futuro la sua identificazione.
E, difatti, è proprio nel pericolo dell’uso della cosa che risiede la ragione della configurazione di questa ipotesi di reato.
Dunque, trattasi di reato di pericolo posto che, a differenza dei reati di danno (dai quali deriva una lesione concreta e reale a un bene tutelato dall’ordinamento) il bene giuridico oggetto della norma non è concretamente leso ma è messo a rischio dalla condotta dell’agente.
E, altresì, bisogna precisare che la fattispecie delittuosa in esame rientra nelle ipotesi di pericolo concreto, perché il bene tutelato dall’ordinamento deve essere concretamente messo in pericolo dalla condotta dell’agente.
Perciò il reato di riciclaggio si consuma indipendentemente dalla produzione dell’evento lesivo in quanto è sufficiente il compimento di atti o fatti diretti a consentire il riutilizzo di beni culturali di provenienza delittuosa.
Di conseguenza non è configurabile il delitto tentato, che tali atti li richiede espressamente all’art. 56 del CP, in quanto è richiesta l’esteriorizzazione di un’intenzione criminosa senza però che il crimine sia stato commesso, o perché manca l’evento nonostante la condotta sia stata realizzata, oppure perché la condotta è stata realizzata solo in parte.
Continua…
Tratto da La tutela penale dei beni culturali, Key Editore