Costume e SocietàLetteratura

Concorrenza sleale e violenza: le divergenze interpretative dell’art. 513 bis c.p.

Le riflessioni del centro studi

Di Alfredo Arcorace – Avvocato del Foro di Locri

Secondo un primo indirizzo, l’art. 513 bis c.p. richiama le condotte di concorrenza sleale previste dall’art. 2.598 c.p. e la fattispecie di reato non può essere applicata a quelle condotte di violenza e minaccia che si collocano al di fuori dell’attività concorrenziale. Ciò perché l’art. 513 bis c.p. è inserito tra i reati contro l’industria e il commercio, per cui ci dev’essere un nesso tra l’azione e la lesione del bene tutelato. Pertanto, la fattispecie di reato in esame troverebbe applicazione solo con riguardo alle condotte concorrenziali tipiche, disciplinate cioè dal codice civile, poste in essere con violenza e minaccia.
Questo primo orientamento non consentirebbe l’applicazione della fattispecie di reato in esame quando la violenza e la minaccia sono rivolte contro l’imprenditore per limitarne la capacità di autodeterminazione in assenza però di un vero e proprio atto di concorrenza sleale tra quelli enucleati dalla norma civilistica. In tali casi, secondo la dottrina richiamata, dovrebbe essere applicata la diversa fattispecie di reato di cui all’art. 629 c.p.
Un secondo orientamento ritiene invece che gli atti di concorrenza non siano soltanto quelli previsti dal codice civile, ma in essi debbano essere ricompresi tutti gli atti violenti e minacciosi che siano diretti a impedire al concorrente di autodeterminarsi nell’esercizio della propria attività d’impresa. Questo orientamento, nel tentativo di assicurare una più estesa applicazione della norma, valorizza la finalità della condotta ma viola il principio di tassatività.
Un terzo orientamento ritiene che gli atti di concorrenza sleale non sono soltanto quelli previsti dal codice civile, ma anche quelli di cui agli artt. 101, 102 e 120 T.F.U.E. e quelli previsti dalla legge 287/90. Tra gli atti di concorrenza sleale andrebbero, quindi, ricompresi anche i cartelli di imprese finalizzati a inibire l’attività imprenditoriale delle ditte che non hanno partecipato all’accordo. Sul piano materiale, poi, ciò che rileva per l’integrazione della fattispecie di reato in esame non è la finalità della condotta ma la sua idoneità a contrastare e ostacolare la libertà di autodeterminazione dell’impresa concorrente pregiudicando o alterando la sua collocazione sul mercato.
Anche questo terzo orientamento, a giudizio di chi scrive, si presta a una critica perché aderendo a questo orientamento si finirebbe per ritenere che per l’integrazione del reato in esame non è sufficiente che la minaccia e la violenza incidano sulla capacità di autodeterminarsi dell’imprenditore, ossia sulla sua scelta negoziale, ma sarebbe necessario un quid pluris, ossia che la condotta sia idonea ad alterare la collocazione sul mercato dell’impresa.
Quindi, quando la minaccia o la violenza sono rivolte contro l’imprenditore uti singoli, ma non incidono sulla dialettica commerciale, e quindi, come anzidetto, sugli equilibri concorrenziali, si tornerebbe nuovamente nell’alveo dell’art. 629 c.p. e il perimetro applicativo dell’art. 513 bis c.p. finirebbe per essere eccessivamente ristretto.
Pertanto, in un’ottica de iure condendo occorrerebbe un intervento del legislatore per definire gli atti di concorrenza, indicandoli in modo determinato e tassativo. Cosa non agevole perché i comportamenti concorrenziali si adeguano all’evoluzione del mercato e ciò rende l’opera di tipizzazione complessa.
Sarebbe quindi auspicabile, a giudizio di chi scrive, la riformulazione della norma, mediante l’abrogazione del reato e l’inserimento di una circostanza aggravante ai delitti di cui agli artt. 610, 612, 612 bis applicabile alle condotte commesse per “impedire o turbare un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva altrui.
In questo modo sarebbe superata la vexata quaestio dell’individuazione degli atti di concorrenza, a beneficio del rispetto del principio di determinatezza e di tassatività e si potrebbe ridurre l’ipertrofia del sistema eliminando le attuali incertezze applicative e permettendo di punire più gravemente le condotte caratterizzate dalle predette finalità, senza ricorrere a una legislazione emergenziale, dai confini incerti e indeterminati, ma sfruttando le norma già previste e ben concepite dal codice penale.

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023

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