La Costa Ionica tra emergenze e l’inadeguatezza della prevenzione
Pensieri, parole, opere… e opinioni

Durante lo scorso fine settimana, la costa ionica reggina è stata colpita da una violenta ondata di maltempo che ha messo in evidenza, ancora una volta, le profonde criticità del territorio. Mareggiate imponenti e venti di eccezionale intensità hanno causato una serie di danni diffusi, portando alla luce la fragilità delle infrastrutture locali. Gli eventi hanno dimostrato come, sul fronte della prevenzione, vi sia ancora un lungo cammino da percorrere per raggiungere standard adeguati a un Paese sviluppato. Questo scenario non è nuovo, ma ogni volta porta con sé una sensazione di impotenza, un amaro senso di ripetizione ciclica di situazioni già vissute che non trovano mai una soluzione definitiva.
Le amministrazioni locali, va riconosciuto, hanno risposto con impegno e professionalità. Attraverso un monitoraggio costante e interventi tempestivi, è stata garantita la sicurezza della popolazione e la Città Metropolitana, ente spesso criticato soprattutto per la difficoltà di individuare con certezza il ruolo che istituzionalmente le compete, ha subito avviato una pianificazione degli interventi più urgenti per sanare le criticità più gravi. Tuttavia, queste misure rappresentano solo una reazione all’emergenza. Non ritengo che agli enti locali competessero sforzi più imponenti di quelli effettivamente messi in campo, piuttosto la mio vuole essere una riflessione più ampia sulla capacità del sistema Paese di affrontare e prevenire situazioni simili. È infatti evidente che la prevenzione, intesa come pianificazione lungimirante e gestione sostenibile del territorio, rimane una questione marginale nel dibattito politico e istituzionale.
Eventi di questo tipo non sono un’esclusiva della costa ionica. Recentemente, fenomeni analoghi, talvolta anche più gravi, hanno colpito altre regioni italiane, dal centro al nord. Nonostante la ripetizione di tali emergenze, la macchina statale continua a mostrare lentezza, inefficienza e un’evidente difficoltà nell’attuare strategie preventive. Investire miliardi nel rinnovo di sistemi satellitari di supervisione è certamente importante, ma non può sostituire un’adeguata manutenzione delle infrastrutture locali come strade, argini e reti idriche. A questo si aggiunge una cronica mancanza di coordinamento tra i vari livelli amministrativi e una burocrazia che troppo spesso rallenta, se non blocca, interventi cruciali per la sicurezza del territorio e dei suoi abitanti.
Il dibattito sulla prevenzione appare dunque anche in questa più recente occasione inevitabile. Non è forse più conveniente, oltre che eticamente doveroso, destinare risorse a interventi strutturali di lungo periodo anziché inseguire le emergenze? La consapevolezza che ogni euro investito in prevenzione può salvarne dieci in interventi emergenziali dovrebbe essere un principio guida se proprio vogliamo evitare di parlare del costo in termini di vite umane, che troppo spesso non pare essere messo in cima alle agende di governo. Tuttavia, questa visione continua a scontrarsi con la realtà dei fatti: piani strategici spesso annunciati con enfasi finiscono per rimanere bloccati nei meandri della burocrazia, mentre i cittadini della costa ionica, come molti altri in Italia, sono costretti a convivere con un senso di abbandono.
La vulnerabilità del territorio italiano è un dato di fatto ben noto. Richiede interventi sistemici e una visione a lungo termine che superi le logiche emergenziali. Ogni anno, i costi sociali ed economici derivanti da eventi climatici estremi aumentano, e con essi cresce la consapevolezza che la manutenzione del territorio non è una spesa, ma un investimento. Ciò che manca è il coraggio politico di affrontare le questioni alla radice, piuttosto che limitarsi a soluzioni tampone. Questa inazione mette a nudo una debolezza profonda del nostro sistema: l’incapacità di pianificare oltre il contingente e di andare oltre le urgenze immediate. Serve un cambio culturale che parta dalle istituzioni, ma che coinvolga anche la cittadinanza, rendendola parte attiva nella cura e nella salvaguardia del proprio territorio.
Il rischio è che questa ciclicità di emergenze alimenti una crescente sfiducia nelle istituzioni. Il mare non aspetta, e neanche i cittadini. Ma finché non verranno adottati interventi concreti e duraturi, rimarremo spettatori di un circolo vizioso che non solo erode le coste, ma anche la fiducia collettiva in un futuro più sicuro. Non possiamo più permetterci di navigare a vista: è tempo di cambiare approccio e di agire con determinazione.