
Di Giuseppe Pellegrino
La tomba era situata fuori dalle mura, verso monte, non molto lontano dal tempio della Regina dell’Ade, ma fuori dalle mura di Locri. Non rispettava i criteri parsimoniosi delle altre tombe, ma era più simile a un tempio. La tomba aveva una struttura a botte su una doppia camera. Le pareti in grandi blocchi di pòros, pietra porosa, e intonacate. La facciata era a portico cieco e colorata. Le porte d’ingresso con legno pesante, con grandi borchie di bronzo, erano situate tra due colonne doriche e sopra vi era un fregio con dipinto, un albero di pino, due fiumi con uno proveniente da un lago. Ilone l’aveva consacrata a Persefone, la Regina che nell’Ade governava il Tartaro ma amava la vita, e a Orfeo, il cantore di Euridice, al cui culto si era convertito. Aveva piantato ai due lati estremi un pioppo nero, simbolo della morte, ed un pioppo bianco, simbolo della rigenerazione, e, ai due lati anteriori, due narcisi, spogli in quel mese, piante gradite alla Dea. All’interno era già piena di pinakes votive per la Dea, con sopra incise laudi per le virtù del defunto, che poetastri remunerati avevano tradotto in versi, e l’iconografia del gallo sacro e dell’uovo, simboli del nunzio del ritorno della luce che seguiva le tenebre; luce che Persefone stessa garantiva.
I funerali di Ilone furono celebrati il giorno dopo il ritrovamento del cadavere e due giorni prima dell’inizio della festa della sacra prostituzione e furono grandiosi. Se Euridice sembrava quasi non esistesse, Tirso, al contrario, dominava tutto. Un Sacerdote guidava il corteo e invocava Semele-Persefone, seguivano flauti e pifferi e, dietro, donne invasate che ballavano, gridavano e gettavano fiori al passaggio del feretro, poggiato in una cassa di pino bianco. Canti lamentosi eseguivano alcune donne, altre urlavano le lodi. Altre ancora portavano gli oggetti più cari al defunto per posarle nella tomba, poiché potevano servire nel Tartaro per rendere meno lugubre la presenza e più confortevole la vita d’oltretomba .E altre ancora portavano cibi in gran quantità, anche acqua e vino già mescolato con l’acqua secondo la legge.
Euridice seguiva la bara. Zaleuco la guardava e la sua mente fantasticava altrove. La donna aveva il potere di inebetirlo, di solleticare in lui le sopite voglie di uomo. “Si vede che sto invecchiando – pensò il legislatore, – se le forze virili vengono meno, ma la mente più che mai si sofferma sulle gioie dell’amore.”
A metà del percorso rispetto alla tomba, Senocrito fermò il Corteo e chiese di pronunciare la sua orazione funebre. Il Poeta spiegò che non poteva raggiungere la tomba perché ciò era contrario alla sua fede. Poi ripetè in pubblico il suo dolore, che aveva già manifestato in casa del defunto, e con la voce forte cantò:«Auguro agli assassini di poter mangiare il pane degli schiavi; di essere rinsecchiti dal gelo e sul corpo siano alghe di risacca;
E battano i denti stremati sulla battigia del mare, stesi come cani con la bocca arsa di sete.»Zaleuco non capiva. Il poeta era famoso per le sue poesie licenziose, ma anche per la sua tolleranza e per una visione della vita come passaggio provvisorio. Zaleuco non capiva la violenza della orazione. Ma la gente approvava. La morte, e morte violenta, di Ilone aveva destato grande cordoglio e paura. Locri era sicura, ma ogni cittadino, dopo la morte del Siracusano, intuiva che qualcosa di tremendo stava accadendo; ognuno in cuor suo si stava preparando a una guerra cruenta e dalle sorti incerte. Poi il canto di Senocrito stava creando emozioni. La gente con il solo sguardo gridava vendetta e la voce suadente del Poeta ricordava a tutti che solo al di qua del fiume Alece, che segnava il confine del territorio con Rhegion, le cicale cantavano. Concluse il canto funebre, Senocrito, gridando e cantando:
«Siamo in lutto. Nessuno farà festa biasimando il popolo in pianto.
Gonfio di pianto di angoscia è il petto. Ma vi è un farmaco che gli dei ci hanno dato per lenire il dolore: la fermezza.»
Concluse il poeta: «Possa l’anima di Ilone trovare il filo del viaggio che lo porti al Dio degli Inferi, evitando di bere nel Lete l’acqua dell’oblio e trovare le risposte giuste per le guardie dell’acqua della memoria e per le domande della Regina del Tartaro e assicurarsi l’accesso alla dimora dei Santi e conseguire la perfezione del tetràkis.»
Zaleuco continuò a non capire. Le ultime frasi sembravano avere un senso nascosto, e mal si conciliavano con la maledizione iniziale.
Finito il canto di Senocrito, si allontanò dal corteo e riprese la via di casa. Euridice lo seguì senza nulla dire. Il popolo che seguiva la bara pensò per il dolore, ma la fede, che precludeva la presenza alla tomba a Senocrito, lo proibiva anche per Euridice.
Il corteo riprese il suo tragitto fino ad arrivare alla tomba. La bara fu collocata all’interno di una ara fatta di terracotta, con figure sulle pareti e non posta sotto la terra. Una donna tutta velata si avvicinò all’ara nella grande tomba.