Costume e SocietàLetteratura

Il Mistero di Ilone: presagi di tempesta su Locri

La Legge è uguale per tutti

Di Giuseppe Pellegrino

Posò per terra un cesto con dentro un gallo e dal mantello estrasse un melograno, grande e rinsecchito, tenuto per mesi nella paglia perché si conservasse, e lo spezzò facendo cadere il poco liquido rosso sangue sul feretro di Ilone. Poi, dalla cesta tirò fuori il gallo e lo posò in un angolo. L’animale, impaurito, si accovacciò e la donna gettò vicino sementi di grano e una ciotola di acqua. Forse anche Ilone, nella sua vita, aveva avuto un cuore e dei sentimenti, se qualcuno alla sua morte posava i simboli della vita, certa che la sua assenza sarebbe durata poco, poiché nelle vene del Siracusano sarebbe tornato a scorrere il sangue di Dioniso e il gallo presto avrebbe annunciato la fine della notte e l’inizio dell’alba.
Finalmente la cerimonia finì con gran sollievo di tutti. Tirso si allontanò da Senocrito e si avvicinò a Zaleuco, apostrofandolo «E allora, magistrato (la parola quasi sottolineata) cosa intendi fare?»Zaleuco pensò di guadagnare tempo; nella sua testa vi era una girandola di idee che non si componevano tra loro e voleva riflettere. Lo sconvolgeva il riferimento di Senocrito alla perfezione del tetraktis. Non aveva senso, oppure aveva un senso a lui non noto.Accortosi che passava del tempo e non aveva risposto, subito precisò: «Domani, Tirso, domani all’Agorà con tutte gli alti magistrati e in tua presenza si vedrà il da farsi». Tirso non era contento, ma non vi era niente da fare, la risposta non permetteva repliche.
La folla, dalla tomba, ritornò a casa di Ilone. I servi avevano apprestato il pranzo dei morti. Nella strada tavoli imbanditi, acqua e vino erano in gran quantità. Vi erano anche molti legumi, che i genitori di Euridice avevano approntato per il pranzo dei morti, poiché la morte era solo un passaggio e il pranzo celebrava la vita. Non sapevano, Dorimaco e Segesta, che questi erano il maggior oltraggio che poteva essere arrecato al povero Ilone. I legumi erano il pranzo dei morti e agli Orfici era vietato assaggiarli. Ma quel giorno la confusione era tanta anche per gli dei.
Zaleuco non si fermò a mangiare, ma si mise sulla via del ritorno. A casa Zaleuco tornò direttamente. Nessuno per strada lo fermò né per chiedergli un consiglio, né per omaggiarlo, come si fa con i potenti. La strada non era molto lunga e poi, dal tempio fino all’agorà, vi era la folla muta del corteo sciolto dopo le onoranze. Dall’Agorà alla sua casa il percorso era breve sulla grande strada del Dromo. Arrivato a casa, si avvicinò al focolare che Imena teneva sempre acceso. Non faceva freddo e ancora non era buio, eppure Zaleuco si accostò al fuoco. Imena aveva visto il ritorno del Magistrato e aveva lasciato il gineceo e il suo telaio. Era entrata silenziosamente e, nella stanza che fungeva da cucina, aveva preso un cesto grande pieno di cicorietta selvatica e, vicino a un tavolo, si era messa a pulirla, restando in piedi. Restò muta per qualche momento, poi, quasi continuasse un discorso già iniziato, domandò: «Pastore, sei preoccupato ?». Zaleuco non si voltò verso la donna. Sempre in piedi e con la faccia verso il fuoco rispose: «Credevo di conoscere Locri e ogni suo segreto. Credevo che in una polis così piccola nessun fatto potesse sfuggire al mio controllo e alle leggi di Atena. Ma oggi ho invocato la Dea di illuminarmi, tante sono state le cose che ho scoperto di ignorare e di non capire. La morte del Siracusano è stata come una frustata improvvisa. E oggi mi chiedo chi era Ilone ? fino a che punto era solo lo zimbello di Euridice? Aveva un’altra vita, oltre quella conosciuta?»
«Perché parli così? – chiese la donna – Tutti conosciamo Ilone, a Locri; tutti sappiamo della sua ricchezza che aveva accumulato per essere il pròsseno di Siracusa. Tutti sappiamo che il matrimonio con Euridice è stato solo un affare tra lui e il padre contro la volontà della donna.»
«Oggi – rispose il magistrato – una donna che non conosco ha onorato Ilone in modo superbo, augurandogli con il cuore il suo ritorno alla vita. Oggi il buon, paziente e saggio Senocrito ha abbandonato nella orazione funebre la poesia per l’invettiva violenta e oscura nelle parole. Non è da lui. E poi non la morte, ma il modo. Chi lo ha colpito quanto lo odiava? Ho paura per Locri e domani occorre prendere decisioni gravi e forse senza ritorno. Sì, donna, sono preoccupato perché non capisco e non so come affrontare il problema. E poi Tirso. Chissà cosa ha nella mente l’uomo. Non mi è mai piaciuto e oggi temo che sia lui a tenere le redini del gioco. Che Atena vegli ancora su Locri e su di me. Temo il suo abbandono.»
Quest’ultima frase era la misura dello sconforto del Magistrato, di tutti e di tutto aveva dubitato nella vita, ma mai del favore della Dea. Forse veramente si preparavano tempi duri per Locri. Imena non continuò il discorso, chiese solo se andava bene la verdura bollita per la sera. Zaleuco fece un cenno con la testa e con le mani come per dire “fai quello che vuoi” e si allontanò dal fuoco. Subito sentì freddo nelle ossa. Ma fu un momento.

Redazione

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