Attualità

La tassa sul celibato e le politiche demografiche del passato

Quel che Nessuno vi ha detto

A seguito della rivelazione della scorsa settimana, la rubrica Quel che Nessuno vi ha detto si rinnova, inaugurando una serie di approfondimenti che, a partire da oggi, analizzeranno eventi storici avvenuti nella data di pubblicazione, valutandone le implicazioni e le conseguenze che ancora oggi risuonano nella società contemporanea. Questo nuovo approccio, sempre ideato dal direttore Jacopo Giuca ed elaborato dal vostro affezionato Oὐδείς, intende stimolare una riflessione critica sul modo in cui il passato continua a modellare il nostro presente, evidenziando i meccanismi di persistenza storica e le connessioni tra le politiche del tempo e le dinamiche attuali.
Dopo aver esaminato gli avvenimenti del 13 febbraio, la nostra attenzione si è concentrata sulla tassa sul celibato, un’imposta introdotta in Italia durante il regime fascista. Istituita con il Regio Decreto del 19 dicembre 1926 e disciplinata con quello, per l’appunto, del 13 febbraio 1927, la tassa era concepita come uno strumento per incentivare i matrimoni e incrementare il tasso di natalità. Secondo l’ideologia fascista, una popolazione numerosa era considerata un elemento strategico per il rafforzamento della nazione e per la creazione di un esercito potente, in linea con le ambizioni imperialiste del regime.
L’imposizione fiscale riguardava oltre tre milioni di uomini non sposati, coinvolgendo la fascia d’età compresa tra i 25 e i 65 anni, con alcune eccezioni, tra cui i sacerdoti, i militari vincolati a particolari obblighi e coloro ai quali il codice civile vietava il matrimonio. La tassa era strutturata su due livelli: un contributo fisso, determinato in base all’età del soggetto, e un contributo integrativo proporzionale al reddito complessivo. Le tariffe iniziali prevedevano un pagamento di 70 lire per i celibi tra i 25 e i 35 anni, che saliva a 100 lire fino ai 50 anni, per poi ridursi a 50 lire dopo tale soglia, fino all’esenzione totale dopo i 66 anni. Nel corso del tempo, le aliquote furono incrementate e i proventi derivanti dalla tassa furono destinati all’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, un’istituzione volta a sostenere la politica demografica del regime.
Nonostante questi sforzi, l’efficacia della tassa sul celibato nel favorire la crescita demografica si rivelò limitata. Tra il 1926 e il 1937, il tasso di natalità in Italia diminuì dal 27,5 per mille al 22,9 per mille, evidenziando il fallimento delle misure coercitive nel modificare le scelte individuali in materia di famiglia e riproduzione. Tuttavia, il numero complessivo della popolazione italiana continuò a crescere, passando da circa 38 milioni di abitanti nel 1922 a quasi 45 milioni nel 1945, principalmente a causa dell’aumento della speranza di vita. La tassa sul celibato fu definitivamente abolita dal Governo Badoglio il 27 luglio 1943, segnando la fine di una fase in cui lo Stato tentava di regolare in modo diretto e punitivo le dinamiche demografiche.
L’eco di questa politica si è propagata anche nel contesto culturale: la tassa sul celibato è stata oggetto della poesia La tassa sui celibi di Agno Berlese ed è citata in film come Gli anni ruggenti di Luigi Zampa e Una giornata particolare di Ettore Scola, nonché nel romanzo Delitti a Cinecittà di Umberto Lenzi. Ancora nel 1999, il sindaco di Vastogirardi propose di reintrodurre una tassa simile per contrastare il calo demografico, segnale di come il tema della natalità e delle politiche a essa collegate continui a suscitare dibattiti anche a distanza di quasi un secolo.
L’analisi della tassa sul celibato offre uno spunto di riflessione più ampio su come le politiche di ingegneria sociale possano incontrare limiti strutturali e suscitare effetti controproducenti. La regolamentazione statale della sfera privata, in questo caso la scelta matrimoniale e riproduttiva, si scontra con dinamiche culturali, economiche e personali che difficilmente possono essere modificate attraverso strumenti punitivi. Oggi, di fronte a una crisi demografica diffusa in molte nazioni, si osservano nuove forme di incentivi alla natalità, che spaziano da sostegni economici a politiche di conciliazione tra vita lavorativa e famigliare. Tuttavia, il dibattito su misure di tipo coercitivo o fortemente condizionate da interventi statali persiste, suggerendo che la questione della crescita demografica rimanga una sfida aperta.
Con questo ciclo di approfondimenti, Quel che Nessuno vi ha detto si propone di fornire chiavi di lettura per comprendere il legame tra passato e presente, esaminando le scelte politiche che hanno segnato la storia e valutandone le implicazioni per il futuro. La storia, nella sua complessità, continua a offrire lezioni preziose per orientare le decisioni del presente e per affrontare le sfide sociali ed economiche della contemporaneità e, a volte, dare in pasto un evento anche apparentemente insignificante a un autore come me potrebbe aiutarci a scorgere le implicazioni occulte di un atto politico sociale, evitando così di incorrere in errori già compiuti…

Foto: archiviostorico.gesuiti.it

Oὐδείς

Oὐδείς (pronuncia üdéis) è il sostantivo con il quale Ulisse si presenta a Polifemo nell’Odissea di Omero, e significa “nessuno”. Grazie a questo semplice stratagemma, quando il re di Itaca acceca Polifemo per fuggire dalla sua grotta, il ciclope chiama in soccorso i suoi fratelli urlando che «Nessuno lo ha accecato!», non rendendosi tuttavia conto di aver appena agevolato la fuga dei suoi aggressori. Tornata alla ribalta grazie a uno splendido graphic novel di Carmine di Giandomenico, la denominazione Oὐδείς è stata “rubata” dal più misterioso dei nostri collaboratori, che si impegnerà a esporre a voi lettori punti di vista inediti o approfondimenti che nessuno, per l’appunto, ha fino a oggi avuto il coraggio di affrontare.

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