Costume e SocietàLetteratura

La nozione di circostanza

La tutela penale dei beni culturali

Di Francesco Donato Iacopino, Emanuele Procopio, Giovanni Passalacqua ed Enzo Nobile

Le circostanze sono elementi accessori del reato che incidono sulla dosimetria della pena che il giudice, nell’ambito dei suoi poteri discrezionali, andrà ad irrogare.
Esse sono state concepite dal legislatore allo scopo di meglio consentire al giudice di adeguare in concreto la pena al disvalore del fatto.
Di conseguenza il reato circostanziato è costituito da due componenti, quella tipica, rappresentata dagli elementi costitutivi del reato di natura oggettiva e soggettiva e quella sussidiaria o accessoria, che è rappresentata da tutte quelle circostanze di fatto che sono individuabili nelle modalità esecutive con cui è stata posta in essere la condotta delittuosa tipica che a loro volta possono essere oggettive o soggettive.
Quindi, in materia di reato circostanziato, occorre stabilire quando determinati elementi di fatto siano da considerarsi circostanze e quando, invece, sono elementi costitutivi di un diverso reato.
Ovviamente il problema si pone solo in tutti quei casi che non è la legge a identificare le circostanze perché in tutti quei casi in cui la legge provvede ad identificarle il problema assolutamente non si pone.
Ciò detto occorre stabilire quand’è che quel quid plus rispetto a una determinata fattispecie di reato, sia esso un elemento fattuale o psicologico, ovvero costituisce una nuova figura di reato o, viceversa, trasforma quella fattispecie in reato circostanziato.
Tale interrogativo, al quale sono state date diverse e importanti risposte dai più eminenti giuristi del XXI secolo e sul quale si continua a dibattere, rappresenta il retaggio di una scelta fatta dal nostro Legislatore nel passaggio dal Codice Zanardelli al Codice Rocco, ovvero la scelta di dare, rispetto al passato, una maggiore rilevanza e importanza ai fini della determinazione della pena alle circostanze del reato.
Difatti, il Codice Zanardelli si disinteressò quasi completamente della commisurazione della pena sulla scorta delle circostanze collegate alla singola fattispecie, lasciando al giudice – unico soggetto, secondo gli intendimenti del periodo, in grado di apprezzare in concreto l’effettivo disvalore del fatto-reato – la prerogativa di adattare, in misura fissa, la pena al caso concreto (art. 59 Cod. Zan.).
Il Codice Rocco, invece, alla luce della nuova sensibilità giuridica, di matrice liberale, che dava maggior rilievo alla pena e nel rispetto del principio di legalità chiedeva che, anche, i fatti incidenti sulla sua entità fossero tipizzati, pur non munendole di una qualificazione giuridica, disciplinò compiutamente le circostanze del reato, spingendo in tal modo i giuristi, che sino ad allora le avevano praticamente ignorate, al loro studio.
Da tale studio emerse una dottrina, tutt’oggi prevalente (Pannain, Santoro, Contento, Mantovani) che partendo dall’etimologia di circostanza (circum stare, stare attorno), e da quella che è la loro funzione (adattare per legge la pena al disvalore concreto del fatto e, al contempo, evitare l’arbitrio del giudice) colloca le circostanze tra le forme di manifestazione del reato, essendo le stesse, secondo la loro qualificazione, degli elementi accidentali, accessori del reato (Mantovani, Diritto Penale, 397, ss) ovvero degli elementi che accedono ad un reato già sussistente in tutti i suoi elementi essenziali.

Tratto da La tutela penale dei beni culturali, Key Editore

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