Ulisse, Diomede e il dilemma della conoscenza
Le riflessioni del centro studi

Di Domenico Bilotti – Università Magna Graecia
L’astuzia della pratica di governo e il monopolio della forza incarnati da Ulisse e Diomede si richiamano, ci ricorda l’Anonimo ateniese che verga parole di fuoco contro la democrazia di allora in un saggio che oggi si direbbe un pamphlet. Lo spazio del diritto che organizza la gerarchia sociale è come intendeva Foucault: un fascio di poteri che originano relazioni di dominio. Ulisse, Diomede e noi tutti siamo in quel fascio. E cosa diamine avrebbe potuto scoprire Ulisse, del resto, valicando i confini delle carte nautiche? Forse che la terra è sferica e non piatta? Qualcuno, anche oggi, lo mette in dubbio: ci fonda sopra social, associazioni, persino chiese, rivendicando proprio lo scranno (e lo scalpo) di Ulisse; la conoscenza contro la conformità. Solo che non c’è nulla di più conformista che credere al complotto quando i passaggi della gnoseologia posseduti non ci bastano a spiegare l’eziologia e a trovare la responsabilità. Ulisse è proprio l’opposto: è vedere realmente cosa segue a Gibilterra. E Diomede (all’Inferno!) con lui.
Non di sola forza fisica e brama militare, da campo, è il racconto epico su Diomede. Almeno tre le indicazioni in letteratura sulla sua morte – che qui sintetizziamo brutalmente, rimandando ad altra trattazione la sezione critica delle fonti. Per alcuni sarebbe morto di vecchiaia dopo avere sposato una bella donna molto più giovane di lui: Diomede prototipizza così un placido eroe di guerra, che si ritira in una tenuta datagli in battaglia, con prole e compagna. Per altri è morto nella spartizione di un bottino: e qui è il Diomede eterno pirata, quello di old habits die hard, del non saper proprio rinunciare all’adrenalina di ciò che di pericoloso si è sempre pericolosamente fatto. Infine, per altri sarebbe divenuto un immortale: il dono estremo, il senatore a vita che non potendo nascere immortale, immortale diventa per saltum, per grazia ricevuta, ad honorem, diremmo.
Una non irrilevante letteratura italico-latina segue Diomede dopo i fasti (e la caduta) di Troia e ben prima delle triplici possibilità che riguarderebbero la fine della sua esistenza terrena. È un mito, in fondo, paternale e imperiale, sagace, coloniale. Grande domatore di cavalli, esperto delle varie arti nautiche, avrebbe risalito l’Adriatico dal Gargano fino alla Croazia e avrebbe insegnato a quei popoli come si cavalca e come si va per mare. L’inizio della civiltà: la ferrovia nel West. Spostarsi e spostare ciò che si ha – Marx sia nel Capitale sia nei Grundrisse dedica largo spazio al trasporto delle merci, ne ricava i primordi di una prima, vera, trattazione autonoma. Altrimenti la lex mercatoria come diventa norma consuetudinaria internazionale? Non sono tutte le libertà fondamentali delle libertà che necessitano di un trasferimento, di un mutamento, di una possibilità di movimento o, per dirla con autorevoli altri, di una “pretesa di progresso”? Bisognerebbe piuttosto capire dove si poggi quella pretesa: se è una forma di legittimazione, di giustificazione o di prevaricazione. Questa è la sola cartina di tornasole che resta in mano a chi voglia produrre una critica interna e propositiva alla procedura democratica.
La ragione e la mancanza di ragione si fanno la guerra fino a spedirsi all’Inferno, ma forse proprio Diomede ne ha sperimentato la possibile coesistenza: l’altro episodio celebre dell’Iliade che ce lo restituisce è nell’amicizia famigliare che lo lega al nemico in battaglia Glauco. Quest’ultimo, pronto a scambiare il valore di cento buoi per quello di nove. I calciatori si danno vicendevolmente la propria maglietta e così i guerrieri, che comunemente e reciprocamente si riconoscano, fanno con l’armatura – a prescinder dal metallo con cui quella era stata forgiata. Una xenofilia ai limiti della xenofollia, diffusissima al tempo in quella enorme regione di confine tra Europa e Asia che collochiamo tra Grecia e Turchia. Questa totale assenza di misurabilità nel sinallagma dell’obbligazione naturale insegna alla patrimonialità che non è essa sola l’unità di misura dello scambio. Alla stessa stregua in cui non può essere solo una cartina geografica a descrivere cosa esista fuori dal mare chiuso tra le terre.
Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/04/2024




