Costume e SocietàLetteratura

Reato circostanziato o autonomo? Il dibattito tra dottrina e giurisprudenza

La tutela penale dei beni culturali

Di Francesco Donato Iacopino, Emanuele Procopio, Giovanni Passalacqua ed Enzo Nobile

La dottrina, non sussistendo un criterio universalmente valido per differenziare il reato circostanziato da quello che non lo è, auspicano che sia il legislatore a specificarne la natura.
La giurisprudenza, invece, adotta due diverse soluzioni per il problema.
Secondo un primo filone giurisprudenziale, avallato dalle Sezioni Unite, per discernere i reati circostanziati da quelli che non lo sono occorre ricorrere al criterio c.d. strutturale, secondo il quale occorre porre l’attenzione sulle modalità con cui è stata costruita la fattispecie dal legislatore: se tale fattispecie, nel descrivere il fatto, si limita a rinviare integralmente a altra fattispecie incriminatrice, ci troviamo di fronte a una disposizione circostanziata del reato, poiché si aggiunge un elemento specifico a un reato già perfetto.
Classico esempio è quello del reato previsto e punito dall’art. 640 bis che, rinviando alla fattispecie di truffa, costituirebbe, secondo le Sezioni Unite, un’ipotesi aggravata della stessa (Sez. U, nº 26.351 del 26/6/2002, Fedi, RV 221.663; Sez. U, nº 4.694 del 27/10/2011, dep. 2012, Casani, RV 251.270, su art. 615 ter c.p.).
Prima dell’intervento a Sezioni Unite, diverse sezioni ritenevano che l’articolo 640 bis costituisse un’ipotesi autonoma di reato o valorizzando il criterio topografico (il fatto che esistano due distinti articoli o fattispecie) oppure quello teleologico (il diverso bene protetto dalla norma rispetto alla truffa semplice).
Analogamente, e per come meglio vedremo successivamente, sempre le Sez. U, con la Sentenza nº 35.737 del 24/6/2010, ribadivano che, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 21 febbraio 2006, nº 49, art. 4-bis, il d.P.R. 9 ottobre 1990, nº 309, l’art. 73, comma 5, configurava una circostanza attenuante a effetto speciale e non un reato autonomo, anche se la normativa seguita alla declaratoria di illegittimità costituzionale della L. Nº 49 del 2006, sancita con la sentenza della Corte Costituzionale nº 32 del 2014, col D.L. 23 dicembre 2013, nº 146, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2014, nº 10, ha introdotto una fattispecie autonoma di reato, pur mantenendo i medesimi elementi distintivi rispetto all’ipotesi base di cui all’art. 73, comma a) (dimostrazione della discrezionalità del legislatore nella scelta di introdurre circostanze del reato o fattispecie autonome di reato).
Il secondo filone giurisprudenziale, sempre confortato dalle Sezioni Unite, invece, esprime un indirizzo diverso rispetto a quello espresso dalle Sezioni Unite, valorizzando il criterio teleologico o dell’oggettività giuridica, secondo il quale, quando la fattispecie penale tutela un bene giuridico diverso rispetto a quello tutelato dalla fattispecie penale di riferimento, siamo di fronte a un’autonoma figura di reato e non a una circostanza aggravante.
In tale senso, le più significative sono la sentenza Greco del 1982, con la quale si afferma che per la differenziazione tra circostanze ed elementi costitutivi del reato occorre tener presente il bene giuridico protetto (sezioni unite 11.399/82, dep. 26 novembre 1982, Greco, RV 156.405) e la sentenza Deutsch del 1997, con la quale le Sezioni Unite, dovendo valutare se il contrabbando di tabacco lavorato estero in quantità superiore ai 15 kg, previsto e punito dall’art. 2 della legge 50/1994, costituisse figura autonoma di reato oppure circostanza aggravante del delitto di contrabbando previsto dall’art. 282 D.P.R. 43/1973, utilizzando proprio il criterio dell’oggetto giuridico, giunse alla conclusione che si trattava di un’ipotesi autonoma di reato (sezioni unite 119/97, dep. 8 gennaio 1998, Deutsch, RV 209.126).
Concludendo, anche la giurisprudenza non è riuscita ad esprimere un criterio idoneo a chiarire, nel silenzio del legislatore, quando siamo in presenza di un reato circostanziato oppure no universalmente accettabile.

Tratto da La tutela penale dei beni culturali, Key Editore

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