
Di Giuseppe Pellegrino
«Sono Strabone – disse a Zaleuco il greco che era stato accusato da Clelia di non averle consegnato una corona di bronzo promessa durante la festa della sacra prostituzione – marinaio della Polifemo».
«È vero quanto dice Clelia?» chiese Zaleuco.
«No, magistrato – rispose risoluto il marinaio. – È vero che non avevo la corona di fiori da porgere al collo. Non se ne trovavano più, poiché quest’anno la festa ha visto la presenza di molti marinai. Mi sono avvicinato a Clelia adulandola, dicendo che lei meritava una corona di fiori incomparabilmente più bella di quelle delle sue compagne e che non ve ne erano in tutta la Locride. Clelia ugualmente mi ha dato retta. Dopo che abbiamo fatto l’amore, ho mostrato il serto di bronzo e rame che avevo con me e glielo avevo promesso se in cambio lei avesse fatto la promessa che fosse stata mia ogni volta che ritornavo a Locri. Ma Clelia non ha promesso».
«Non è vero – intervenne con foga la donna. – Il serto era la corona della sacra prostituzione».
«Hai prove di quello che dici, Clelia?» chiese Zaleuco.
«Certo – rispose la ragazza. – Le mie compagne del sacro recinto della peripoli possono testimoniare».
«Bene – chiosò Zaleuco, – fra due giorni, all’ora nona, porta le tue amiche e le sentiremo». Rivolto a Strabone intimò: «Tu non ti muovere dalla città fino alla sentenza».
«Ubbidirò» rispose pronto il marinaio.
Clelia non si fermò e chiese:«Disponi ,Splendente, che il serto sia in mia custodia fino alla sentenza».
«Il serto è o è stato in mano tua prima del processo?» chiese Zaleuco.
«No, Zaleuco – rispose la fanciulla. – Strabone non me lo ha mai consegnato», concluse.
«La nostra legge dice – pontificò Zaleuco, – che ciò che è in contesa durante una lite resterà presso colui che era in possesso prima che la lite cominciasse. Dunque – continuò il magistrato, – poiché sei tu stessa che dichiari che il serto è stato sempre in mano a Strabone, sarà egli a tenerlo in custodia fino alla sentenza. Di poi si vedrà».
Ma nel dire questo portò la mano alla benda poiché sentiva l’antico dolore, ma di più lo preoccupava la sensazione, pure questa quasi dolorosa, di aver dimenticato qualche cosa.
«Tu, Strabone – diretto al marinaio – conservala e portala con te il giorno del giudizio».
Il marinaio iniziò subito a darsela a gambe, contento di averla per il momento scampata, ma la sua gioia durò poco, perché Zaleuco ricordò cosa aveva dimenticato. Immediatamente intimò al marinaio di fermarsi. L’uomo diventò pallido. Conosceva la durezza delle leggi locresi e la paura che Zaleuco avesse cambiato opinione lo atterrì. Si fermò irrigidito voltandosi verso il magistrato. Zaleuco domandò:«Hai detto di essere marinaio della Polifemo».
«Sì, magistrato», confermò Strabone.
«Voglio sapere una cosa. La nave ha portato merce a Ilone il Siracusano e cosa?» continuò Zaleuco.
«Nessuna merce, magistrato. La nave è stata scaricata a Schilletio. Poi, al ritorno, ci siamo fermati a Locri per la festa della Sacra Prostituzione. Talete, il comandante, doveva solo consegnare un piccola cassa. Sì, magistrato, una piccola cassa, ma molto pesante» concluse il marinaio.
«A chi?» domandò Zaleuco.
«Non lo so ,magistrato.La cassetta, il comandante la teneva presso il suo sito e nessuno vi ha accesso», rispose il marinaio.
«Tu hai visto qualcuno venire alla nave?» domandò Zaleuco.
«Non era ancora l’alba, magistrato, che un uomo si è presentato alla nave. Non lo ho potuto vedere in faccia, ma da lontano sembrava alto e robusto» rispose il marinaio.
«Come era vestito?» domandò ancora Zaleuco.
«Non lo so di preciso, magistrato. Ma sembrava alla maniera dei locresi» rispose Strabone, sperando che fosse l’ultima domanda. Ora il marinaio cominciava ad avere paura sul serio. Non tanto dell’ira di Zaleuco, quanto di quella di Talete, il comandante, quando avrebbe saputo delle risposte. Stava forse dicendo cose che non doveva dire, ma la paura del magistrato era tanta.
Zaleuco non si fermò e fece forse l’ultima domanda: «Dimmi, marinaio, tu, per caso, sei tra quelli che hanno visto il corpo di Ilone?»
Ora, il marinaio era terrorizzato. La pena per lite temeraria era severa, ma quella per gli assassini ubbidiva al broxos, la legge del contrappasso. Ma lui era innocente, perciò cercò di essere persuasivo, rispondendo: «Non io, magistrato, io sono stato uno degli ultimi a scendere dalla nave. Ho saputo di alcuni miei compagni che a piedi si portavano a Locri con passo veloce, ma scherzando tra loro. Così, in un fosso vicino alla strada, forse ad Aretusa, hanno visto un corpo di un uomo ucciso, ma non sapevo fosse di Ilone».
«Conoscevi Ilone?» domandò ancora Zaleuco.
«Sì, magistrato – rispose il marinaio,- spesso la Polifemo ha trasportato il suo legname e la sua pece, ma anche aceto, magistrato, e qualche volta ha portato olio per lui, ma pochi orci».
Zaleuco congedò il marinaio, che non sapeva se essere contento per il pericolo che intravedeva dall’interrogatorio o disperato per la reazione di Talete. Tuttavia, si allontanò di buon passo. Fece pochi passi che incontrò un altro marinaio della Polifemo, che gli chiese dove andasse, ora che la festa era finita. Strabone gli disse che stava guadagnando il porto.