
Di Giuseppe Pellegrino
Tirso guidava il carro con la sicurezza di chi aveva dimestichezza con i cavalli nelle corse e in guerra ma, soprattutto, con la facilità di chi sembrava conoscere bene la strada e poteva guidare con la sola luce della luna piena.
Ci volle qualche tempo ad arrivare sul posto, chiamato Kramazia perché lì vi era la terra buona per i vasi, che era situato non lontano da Aretusa. Era già notte. I due scesero dal carro ma l’oscurità non aiutava a vedere. E poi la zona era paludosa e lungo la strada vi erano sorgive di acqua, a volte, quasi torrenziali. Si decise di aspettare l’alba, che non tardò ad arrivare.
Subito in un canale pieno d’acqua, scavato, dalle violente acque invernali, comparì il grasso corpo del nomotheta con la testa staccata di netto da una spada all’altezza delle spalle.Ci voleva un gran forza per un fendente del genere, che aveva lasciato tutto il collo attaccato alla testa. Subito i servi alzarono grida di dolore al cielo e quello che di loro era più svelto si avvicinò per comporre e prendere il corpo. «Fermatevi!» gridò Zaleuco, e i servi ubbidirono. Poi il Legislatore si avvicinò ed ebbe l’impressione di vedere una scena già vista. Dal cadavere che già emanava effluvi, sangue poco o niente; solo sul collo, rimasto attaccato alla testa, tracce di violenza di mano con unghie possenti, di una ferita a girocollo come di un laccio e rivoli di sangue. Zaleuco tremò. Aveva avuto la sensazione, già dalla morte di Ilone, che l’assassinio fosse stato accuratamente preparato. La stessa sensazione aveva ora per Caronda, ma ciò contrastava con il fatto che la venuta del nomotheta a Locri non era prevista. Eppure, cosa inquietante, era la conclusione che i due delitti fossero stati perpetrati dalla stessa mano, orditi dalla stessa raffinata mente. Ma gli sfuggiva il fine, non capiva il perché.
Zaleuco fece segno ai servi e ai soldati reggini che potevano recuperare il corpo con inizio di putrefazione. Diede ordine che l’illustre ospite venisse prima accompagnato a Locri per essere ripulito, acconciato con gli unguenti per un lungo viaggio per fermare la decomposizione e poi messo in una bara di pino bianco, sì che la Dea Persefone accogliesse nel Tartaro il nomo-theta, garantendogli una vita nella morte agiata come era stata vissuta.
Al ritorno, Zaleuco parlò poco o niente. Alle osservazioni di Tirso rispondeva a monosillabi e con qualche assenso di maniera. Ora occorreva prendere una decisione. La morte di Caronda era un beffa, poiché da Reggio non erano tornati gli ambasciatori mandati in occasione dell’uccisione di Ilone, ed era imbarazzante restituire il corpo di un illustre cittadino, orrendamente mutilato, senza dare giustificazioni. La morte di Ilone e quella di Caronda avevano in comune una cosa: in entrambi i casi erano stati colpiti illustri rappresentanti di poleis che erano o alleate come Siracusa o amiche come Reggio. Tirso voleva prendersela con gli italioti e con i siculi, con Medma e con Hipponion, ma chi aveva ucciso Ilone e Caronda voleva minare le alleanze politiche e militari di Locri. Voleva che la polis fosse isolata e senza amici, con una piccola popolazione a difendere il territorio sia da nord, dai Krotonesi, sia da sud, da Reggio e anche dal mare, incattivendo Siracusa. Un disegno così complesso e raffinato non poteva essere pensato e gestito da gente semplice e poco accorta come i siculi, forse dietro vi erano i Crotonesi. Ma, intanto, occorreva fare qualche cosa, anche se tutto era buio; ampliare i confini di Locri al momento non era possibile. Kaulon era sotto l’influsso dei Crotonesi, che avevano un esercito agguerrito; il tirreno era in mano ai siculi, che erano già stati ingannati con i patti locresi ed erano prevenuti nei loro confronti. Ma quello che preoccupava Zaleuco era il fatto che cominciasse a montare uno scontento interno che avrebbe potuto rivolgersi contro il Legislatore, contro l’ordine costituito di Locri. Occorreva allentare la tensione, prendere iniziative contro i siculi era una buona cosa, avrebbe fatto raggiungere lo scopo e preservato Zaleuco dalla accusa di essere lui, proprio lui, un debole. E poi un’incursione verso i siculi non avrebbe fatto gravi danni e poteva permettere di giustificare due delitti e guadagnare un poco di montagna per il legname e la pece. Ma la decisione era meglio prenderla con il consenso della Consiglio dei Mille, che occorreva convocare. Anzi, subdolamente gettare il seme della iniziativa, come se fosse l’Assemblea stessa a ordinare. Vi erano già gli opliti per la consueta chiamata alle armi fatta in ogni primavera per garantire una adeguato addestramento. Poi gli altri proprietari terrieri. Lo stratega era Tissaferne, nonostante le mire di Tirso.
Arrivarono alla casa di Tirso che era già l’imbrunire. Il carro che portava il corpo di Caronda era lento.Quando il carro arrivò davanti alla casa di Tirso vi era già un nugolo di gente. La notizia della morte del nomotheta si era sparsa rapidamente.