
Di Giuseppe Pellegrino
«Con i siculi furono stipulati patti ben chiari, che solo un stolto non poteva capire – proseguì Tirso. – Non potevano bastare 2.000 acri di terreno per la sola polis, senza terra per il sostentamento dei locresi. Questa terra è magnifica, ma i monti, come per l’amata Grecia, si specchiano nel mare e la terra coltivabile è poca. Dalle montagne ricaviamo legname e pece, ma pochi sono gli olivi, poca la terra per grano ed orzo. Al di là dei monti, attorno a Medma e Metauro, una larga pianura agevola la coltivazione sia degli ulivi sia del grano. Il resto della montagna ci darà più legname e pece. E poi più vicine saranno le colonne d’Ercole.
È chiaro che sono stati i siculi a perpetrare le uccisioni dei due illustri defunti, e mi sembra il caso di approfittare di questo grave oltraggio inflitto a Locri per rinsaldare il potere della nostra polis, ampliare i confini e le ricchezze, creando come gli Spartani un esercito permanente. Vi sono giovani – continuò – che mal sopportano lo stato delle cose a Locri».
Poi, rivolgendosi direttamente ai singoli del Consiglio dei Mille con il tono di voce più sostenuto, osservò:
«Voi, i più illustri locresi, avete una terra che rende agiata la vostra vita. Ma lo spazio che i locresi possiedono non dà più possibilità che altri, seppur giovani di nobile origine, possano conquistare la stessa agiatezza. Nuove terre permetterebbero nuove divisioni e nuova ricchezza. Un esercito darebbe ai giovani meno nobili uno sfogo a una vita che, se limitata, prima o poi determinerà malcontenti non governabili».
Zaleuco si incupì. Un esercito permanente significava uno stato di guerra continua; un cambiamento delle istituzioni. Si guardò attorno e vide Tirso con in volto un ghigno di soddisfazione. Stava per intervenire, quando chiese di parlare Agesidamo. Egli era il più ricco, dopo Ilone, della madre Locride, tanto erano fertili le sue terre. Aveva pochi capelli canuti, ma per la sua età meglio di ogni altro ricordava lo sbarco a Zeffirio, la fuga di Locri e le sofferenze per formare una nuova polis.
«Tu parli bene, Tirso – cominciò, – ma ti fai guidare solo dal il tuo coraggio, dal tuo amore per Locri, dalla tua frenesia di comando. Tu che sei figlio di Donna delle Cento Case e che godi dei privilegi degli Aristoi, tu sai bene che la guerra permanente, proprio la guerra permanente è stata la causa della nostra fuga dalla madre Locri Opunzia. La guerra che non faceva tornare i mariti a casa se non morti e lasciava le donne sole e senza speranza. Tutti noi siamo greci e dei più nobili perché discendiamo dalle donne delle Cento Case, che hanno dato a noi il nome e una dignità. Ma i nostri padri erano perieci, servi e noi figli nati al di fuori del desco comune. La paura del ritorno dei soldati in leva permanente fece fuggire i padri e le madri che hanno preso l’inziativa. Tu, figlio di Ermione, Donna delle Cento Case, hai avuto la fortuna di vivere in un periodo di pace, che ha consolidato il potere della polis. Non dobbiamo mettere in pericolo quanto abbiamo fatto. Occupare Medma e Metauro significa armare non meno di cinquemila opliti. Significa che ognuno di noi deve lasciare i campi e la raccolta del legname e della pece, tentando una sortita che, seppure favorevole, non ci darà presto nessuna ricchezza.
Tirso – continuò Agesidamo, – sono d’accordo con Zaleuco che occorre punire i siculi per l’oltraggio. Ma quale prova abbiamo che sono stati loro? Già una volta, con i patti locresi, li abbiano ingannati e defraudati di poco terreno. Eppure tu non puoi ricordare, Tirso, che quando siamo arrivati ci accolsero come amici, abbagliati dai nostri vestiti, dalle nostre armi, dai nostri carri, dai nostri attrezzi per l’agricoltura, dalla capacità di lavorare l’argilla. Molti siculi sono rimasti con noi e fanno parte della nostra città. Ma allora l’inganno si poteva capire, un periplo urbano lungo e largo poco più di quaranta stadi poteva bastare per fare le mura sicure di una città, non per garantire la sopravvivenza. Ora, Tirso, noi abbiamo una polis e delle leggi scritte, con pene severe per chi li viola, che tutta la madre Grecia ci invidia. Atena, che più di un motivo aveva per essere adirata con noi, ci ha voluto bene, consegnando a Colui che splende come i raggi del sole le leggi del nostro stato. Lo stesso Caronda era venuto per conoscere le nostre leggi e le nostre istituzioni. Quando sarà tutto consolidato, possiamo pensare di espanderci. Penso che un attacco di pochi giorni possa bastare, allargando i confini verso il tirreno sulla montagna per un poco di legname e di pece in più».
Agesidamo disse le cose che Zaleuco non poteva dire. Dette da lui avevano una dimensione epica. Non ci fu bisogno di altri discorsi, il Consiglio dei Mille rumoreggiò in favore di Agesidamo. Tutti volevano la guerra, ma nessuno, in cuor suo, era pronto a partire e rischiare la raccolta del legname e della pece. Tirso era livido. Tissaferne si riprese appena Zaleuco gli chiese:«Stratega, di quanti opliti hai bisogno?»