
Dopo l’elezione avvenuta lo scorso 8 maggio, ho preferito attendere prima di esprimere un giudizio sul nuovo Papa, Robert Francis Prevost, che ha scelto di assumere il nome di Leone XIV. Un’attesa che non è stata solo prudente, ma necessaria, per osservare i primi segnali concreti del suo pontificato, evitando così la tentazione di letture affrettate e superficiali. Ogni nuovo inizio porta con sé grandi aspettative, ma anche l’urgenza di comprendere la direzione intrapresa. Oggi, all’indomani della messa di insediamento celebrata ieri in Piazza San Pietro, i tempi sono finalmente maturi per riflettere sul significato profondo del suo primo discorso ufficiale da pontefice, non solo nei contenuti, ma anche nella visione ecclesiale che suggerisce.
L’omelia di domenica 18 maggio, pronunciata con voce ferma ma partecipata, ha avuto come asse portante il concetto di amore, proposto come cuore pulsante del mandato petrino e come via maestra per affrontare le sfide della contemporaneità. Il Papa ha tracciato una traiettoria chiara, che fa dell’amore non un sentimento astratto, ma un impegno concreto e quotidiano, capace di trasformare tanto le relazioni personali quanto quelle tra i popoli. Non è un caso che abbia collegato l’invito all’amore fraterno con la parola “pace”, già più volte ripetuta nel suo primo saluto ai fedeli affacciandosi dalla Loggia delle Benedizioni lo scorso 8 maggio. Una pace che non è semplice assenza di conflitto, ma frutto maturo della giustizia, del rispetto reciproco e della cura dell’altro.
«Camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia»: è in questa espressione che si coglie la cifra pastorale del pontificato nascente. Un amore che non è sentimentalismo, ma esercizio di responsabilità, cura e dedizione. Come ha sottolineato nel passaggio in cui ricorda che «la vera autorità è la carità di Cristo», Papa Leone invita tutta la Chiesa a riscoprire la forza evangelica della tenerezza, opponendo al potere e alla propaganda la testimonianza vissuta del servizio e della prossimità. Questo stile pastorale, sobrio ma esigente, richiama l’esempio dei grandi testimoni della fede, che hanno saputo incarnare la Parola nella concretezza della vita quotidiana.
«Questo, fratelli e sorelle, vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato». Qui si avverte con chiarezza la volontà di aprire una nuova stagione di dialogo, riconciliazione e unità, non solo dentro i confini del mondo cattolico, ma in relazione con tutte le fedi e le culture. Il passaggio più significativo in tal senso è senza dubbio quello in cui Papa Leone auspica che «questa è la strada da fare insieme… con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà». Un’apertura convinta e convintamente cristiana, che non rinuncia alla propria identità ma la esprime attraverso l’incontro, il confronto e la collaborazione.
Si profila così una Chiesa meno centrata su se stessa e più aperta al mondo, «lievito di concordia per l’umanità», come ha detto lo stesso Papa nel concludere l’omelia, invitando ciascuno a farsi costruttore di pace attraverso gesti quotidiani di fratellanza. In un tempo segnato da tensioni sociali, crisi ambientali e profonde diseguaglianze, Papa Leone XIV sembra insomma indicare con decisione la rotta di una Chiesa capace di abitare il mondo senza fuggirlo, di interrogarsi senza chiudersi, di amare senza chiedere nulla in cambio. Una Chiesa missionaria non per proselitismo, ma per testimonianza viva e umile.
«Questa è l’ora dell’amore!», ha proclamato Leone XIV, rilanciando con forza la centralità del Vangelo come motore di cambiamento. Un’affermazione che non è solo simbolica, ma profondamente programmatica: il nuovo pontefice sembra voler restituire all’annuncio cristiano la sua potenza trasformativa, capace di edificare relazioni nuove, fondate non sul dominio, ma sull’accoglienza reciproca. Un amore che diventa stile ecclesiale e orizzonte politico, capace di interpellare la coscienza collettiva e orientare le scelte comunitarie verso una maggiore giustizia e inclusione.
Se queste sono le premesse, possiamo attenderci un pontificato che metta al centro la missione di riconciliare, unire e amare, nonostante le differenze e le difficoltà. Un pontificato che, nel segno del nome Leone, promette di essere insieme forte nella fede e mite nel cuore. Forte nel custodire il patrimonio della tradizione, mite nell’accogliere le novità dello Spirito. Un pontificato che apre scenari di speranza, in cui la Chiesa potrà tornare a essere davvero segno profetico di unità e strumento efficace di pace.
Forse non con i metodi che avrebbe adottato Francesco, ma certamente come anch’egli avrebbe voluto…
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