Costume e SocietàLetteratura

Il diritto di Resistenza e la Costituzione

Le riflessioni del centro studi

Di Stefania Mantelli – Avvocato del Foro di Catanzaro

Il ragionamento svolto da Mortati relativamente al diritto di resistenza partiva dalla considerazione che “era stato elaborato, all’interno del testo costituzionale, un sistema di garanzie volto a tutelare i diritti dei cittadini, anche di fronte agli abusi dei supremi organi della Repubblica; sarebbe stato il ricorso a questo sistema di garanzie positivo – e non certo l’esercizio del diritto di resistenza – a tutelare i cittadini dagli abusi del potere costituito…”.
Eppure la discussione, in Italia, come nella Germania federale e in Francia, si svolse nel più vasto contesto dei lavori in corso alle Nazioni Unite, in seno alla Commissione per i diritti umani, presieduta da Eleanor Roosevelt. E in detta sede il dibattito relativo al testo definitivo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, portò comunque all’inserimento del “considerato” 3, nel preambolo, che così recita: “Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultime istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione…”.
È evidente, quindi, che sullo sfondo dell’elaborazione di un nuovo assetto costituzionale in molti Paesi, così come a livello internazionale, vi era il timore di non avere sufficienti strumenti per evitare scivolate totalitarie all’interno delle varie realtà nazionali o comunque forme di oppressione intollerabili.
Nonostante tali preoccupazioni, il diritto di resistenza non ricevette una sua sistemazione positiva all’interno della nostra Carta fondamentale.
Il dibattito sullo stato di eccezione (elaborato dal giurista tedesco Carl Schmitt), che connota una particolare situazione all’interno di uno Stato che comporta la sospensione di quelle garanzie tipiche di uno Stato di diritto e del correlativo diritto di resistenza, si è riacceso nel corso della recente emergenza pandemica e sulla relativa gestione politica, da molti contestata.
Le leggi, certo, si rispettano. Viene da chiedersi, però, se sia lecito disattenderle qualora si ritiene che ledano manifestamente i propri diritti inviolabili. In tal senso, può ritenersi sussistente quantomeno la possibilità di esercitare una qualche forma di disobbedienza civile e, quindi, un diritto ad opporre resistenza?
E, difatti, esercitare il diritto alla resistenza non vuol certo significare riconoscere un diritto alla rivoluzione! La resistenza, infatti, è conservativa, poiché non è volta contro i valori riconosciuti, ma in nome di essi intende confermarli, quindi chi la invoca non è un sovversivo, ma piuttosto qualcuno che intende ristabilire l’ordine costituzionale che assume essere violato. Quindi, in tal caso, ci si opporrebbe “non all’ordinamento costituzionale, ma alla sua distorsione o degenerazione”.
Uno dei primi atti di disobbedienza civile che si ricordano risale alla Grecia del V secolo a.C. allorquando Sofocle scrive la tragedia Antigone che si incentra sulla sepoltura di Polinice, avversario del Re Creonte, effettuata dentro le mura di Tebe, nonostante un decreto regio lo vietasse. Accusata del reato è la sorella Antigone che, portata dinnanzi a Creonte, sottolinea che alcun decreto emesso da mortale può arrivare a trasgredire leggi non scritte, di natura divina, per cui violarlo ha significato assecondare il volere degli dei di avere pietà per i defunti e di garantire loro una degna sepoltura, che prevale su qualsiasi legge umana. Antigone compie così, esercitando una sorta di diritto naturale, la prima manifestazione di disobbedienza alle leggi di cui si ha notizia.
In Italia, negli anni ’70, gli stessi giuristi che avevano convenuto sul fatto che non fosse opportuno positivizzare il diritto di resistenza, tornano sul tema. Costantino Mortati, nel suo commento all’art. 1, sulla scia di una sorta di ripensamento, si spinge ad affermare che, in verità, il diritto di resistenza può desumersi dal combinato disposto degli artt. 1 e 3, comma 2, Cost. E quindi, il diritto di resistenza dovrebbe vedersi come un dovere di rispettare la Costituzione, sia in capo ai governanti sia in capo ai governati. Tale dovere non deve però confondersi con la rivoluzione, dovendosi considerare come “applicazione dell’esigenza della preminenza del fine sui mezzi, quando questi si rivelino inidonei”, su tale esigenza “si fonda lo stato di necessità che giustifica la sospensione dell’azione legale, e la cui insostituibile funzione ha avuto pratico riconoscimento anche in assenza di una previsione costituzionale”.
Secondo il costituzionalista, il diritto di resistenza trae legittimazione dal principio della sovranità popolare “perché questa, basata com’è sull’adesione attiva dei cittadini ai valori consacrati nella Costituzione, non può non abilitare quanti siano più sensibili a essi ad assumere la funzione di una loro difesa e reintegrazione quando ciò si palesi necessario per l’insufficienza o la carenza degli organi ad essa preposti”.

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/04/2024

Redazione

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