Costume e SocietàLetteratura

La confisca delle cose adoperate per commettere il reato

La tutela penale dei beni culturali

Di Francesco Donato Iacopino, Emanuele Procopio, Giovanni Passalacqua ed Enzo Nobile

L’articolo 518 duodevicies, 2º comma, codice penale prevede espressamente che “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dal presente titolo, è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persone estranee al reato.”
Tale comma, in buona sostanza, replica quanto già espressamente previsto dal comma 2º dell’articolo 240 del c.p., prevedendone l’applicazione per i reati previsti dal titolo VIII-bis del C.P.
I beni confiscabili ai sensi del comma secondo dell’articolo 518 duodevicies c.p., sono praticamente gli stessi confiscabili ex art. 240, comma 2º, c.p., ragion per cui di essi esiste già una ben definita qualificazione.
Le cose servite per la commissione del reato sono da intendersi esclusivamente quelle legate da un nesso strumentale al reato.
Il nesso strumentale sussiste solo con quelle cose senza le quali il reato non potrebbe realizzarsi nelle sue effettive e concrete modalità (Alessandrini); non, sussiste, invece, rispetto a tutte le altre cose utilizzate nei diversi momenti attuativi della condotta criminale.
Quindi possono considerarsi cose destinate alla commissione del reato, quegli strumenti predisposti dal reo per il conseguimento del suo scopo delittuoso ma non utilizzati durante l’effettiva esecuzione del reato.
In ordine a tale seconda tipologia di beni, la confisca opera solamente quando il nesso strumentale tra cosa e reato è talmente intenso da rivelare la concreta probabilità che, se lasciato nella disponibilità del reo, porterebbe quest’ultimo a commettere nuovi reati.
Per prodotto del reato deve invece intendersi il vantaggio economico che il reo ottiene direttamente o indirettamente dalla sua commissione, ossia quelle cose create, acquisite o trasformate, grazie al reato.
Il profitto del reato è rappresentato da ogni vantaggio economico proveniente dalla commissione del reato, anche quello indiretto come nel caso del reimpiego del ricavato.
Per prezzo del reato deve intendersi ciò che è stato dato o promesso al reo per istigarlo o determinarlo a commettere il reato.
Questi in buona sostanza sono i beni confiscabili ex articolo 518 duodevicies, 2ºcomma, codice penale, sulla cui necessarietà si manifestano dei seri dubbi, atteso che è implicito che anche per tali reati operi l’articolo 240 del c.p., costituente essa una norma generale, salvo il caso in cui il legislatore abbia inteso anche in tale materia il principio sottostante alle misure ablative c.d. speciali, ovvero che il crimine non paga, per come si è portati a ritenere, considerato che al successivo comma terzo è addirittura inserita la confisca per equivalente dei beni previsti dal 2º comma, similmente a come fece il Legislatore nel 2012, allorquando aggiunse il comma 1-bis al comma 2º del codice penale, che prevede la confisca per equivalente “dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615 ter, 615 quater, 615 quinquies, 617 bis, 617 ter, 617 quater, 617 quinquies, 617 sexies, 635 bis, 635 ter, 635 quater, 635 quinquies, 640 ter e 640 quinquies nonché dei beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il colpevole ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto”

Tratto da La tutela penale dei beni culturali, Key Editore

Redazione

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