La Giurisprudenza e la Legge 22/2022 in materia di tutela dei Beni Culturali
La tutela penale dei beni culturali

Di Francesco Donato Iacopino, Emanuele Procopio, Giovanni Passalacqua ed Enzo Nobile
In materia di misure ablative tendenti a contrastare il depauperamento del nostro patrimonio culturale, la scelta di campo operata dal nostro legislatore con la legge nº 22 del 2022 è chiara: esso ritiene che la strada maestra da seguire sia quella già percorsa nella lotta alla criminalità organizzata e nella lotta alla criminalità del profitto e alla corruzione, ovvero il ricorso alle c.d. misure ablative particolari che, quale massima espressione del diritto penale dell’efficienza, comprimono i diritti del singolo per ottenere il risultato voluto.
Tale scelta di campo però, a dire di autorevoli autori, anziché evidenziare il determinismo del legislatore, ne testimonia i suoi limiti.
Infatti, così operando, il legislatore non si avvedrebbe dell’esistenza di quel fenomenale strumento fornitogli dalla Costituzione, che contempla la tutela dei beni culturali (e paesaggistici) tra i dodici pilastri del nostro ordinamento, ovvero tra quei principi fondamentali ritenuti talmente importanti da non essere modificabili nemmeno col procedimento di revisione costituzionale e, al contempo, introdotto limitazioni alla riconosciuta proprietà privata, al fine di garantirne la funzione sociale.
Limiti, quelli mostratati dal legislatore, che non affliggono certamente quell’accorta giurisprudenza di legittimità che, partendo proprio dalla Costituzione e dal consequenziale regime giuridico dei beni culturali, secondo il quale tali beni sono di proprietà dello Stato, realmente o anche solo potenzialmente, approda alla qualificazione giuridica della confisca ex art. 174, comma 3º, D.Lgs 42 del 2004 (ora art. 518 duodevicies) come mera azione recuperatoria di natura civilistica ma, eccezionalmente, esercitata dal giudice penale.
Qualificazione giuridica come azione recuperatoria che, tra l’altro, mette tale misura ablativa al riparo da ogni possibile contestazione in ordine al mancato rispetto dell’articolo 7 CEDU, giacché rende inoperoso in siffatta materia il principio di irretroattività espresso con la sentenza Varvara, quindi consente l’applicabilità di tale misura anche in caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione o per altra causa di estinzione del reato o della pena, le quali non recidono il rapporto sussistente tra fatto reato e bene culturale (Cass. Pen., Sez. III, Sentenza 42458 del 10 giugno 2015).
La giurisprudenza maggioritaria, infatti, esponendosi a tali contestazioni, al fine evidente di rendere la confisca ex articolo 174, comma 3º operativa, anche in caso di intervenuta prescrizione, la qualifica come una misura di sicurezza speciale rispetto allo stereotipo di cui all’articolo 240 codice penale.
Il diverso arresto giurisprudenziale addiviene al medesimo risultato, partendo dal presupposto che la confisca in materia di beni culturali, non ponendosi in rapporto di specialità con l’articolo 240 codice penale, non necessita di un giudizio di pericolosità della cosa, e arriva a qualificare tale tipologia di confisca come “misura recuperatoria di carattere amministrativo”, mirante al recupero del bene culturale che, in quanto tale, è un bene extra commercium, presuntivamente di proprietà dello Stato, i cui limiti di operatività non sono certamente quelli delle cause estintive del reato, non incidendo esse sul rapporto tra il fatto reato e la res, bensì esclusivamente il superamento della presunzione di proprietà statale del bene e il rispetto delle regole sull’esportazione, anche temporanea, di beni culturali.
Difatti, il mancato superamento della presunzione di proprietà statale del bene, rende assoluto l’accertamento della responsabilità penale, comportando tale mancato superamento la contestabilità, perlomeno, dei reati di furto o appropriazione indebita, a seconda della relazione esistente tra il bene e il sottoposto a procedimento penale.
Il mancato rispetto delle regole sull’esportazione, a sua volta, comporta la violazione dell’articolo 518 undecies c.p., ovvero di un reato di mera condotta e di pericolo presunto, la cui sussistenza presuppone esclusivamente la violazione delle norme sull’esportazione dei beni culturali.
Pertanto, tale orientamento giurisprudenziale [che per le ragioni già dette gode anche di copertura costituzionale] a parere di chi scrive, è certamente da preferirsi alla scelta operata dal legislatore con la legge nº 22 del 2022.
Scelta che molto probabilmente produrrà, quale effetto boomerang, nuove tensioni, anche a livello internazionale, sulle questioni, mai sopite, relative alla reale natura giuridica di tale misura e ai suoi limiti applicativi, fornendo in tal modo a Stati o Istituzioni non collaborative pretesti giuridici miranti a osteggiare il rientro in patria di beni culturali illecitamente sottratti al nostro patrimonio culturale.
Tratto da La tutela penale dei beni culturali, Key Editore




