Charlie Kirk e la politica dell’odio: che cosa abbiamo imparato nell’ultimo mese

Di Greta Panetta – Studentessa del Liceo Classico “Ivo Oliveti” di Locri
Oggi non è raro che studenti universitari e liceali partecipino attivamente a campagne politiche, dibattiti culturali o battaglie sull’identità di genere, sull’ambiente e sulle diverse religioni. Nel contesto attuale, i giovani si trovano al centro di trasformazioni sociali, culturali e tecnologiche senza precedenti e i social media hanno amplificato molto questo fenomeno, trasformando molti attori politici in veri e propri fenomeni culturali capaci di mobilitare milioni di follower. In America, ad esempio, negli ultimi anni, il dibattito pubblico è sempre più definito da tensioni nette su genere, razza, religione e libertà di espressione. Tutte tensioni che non vengono nascoste ma penetrano nelle scuole, nei campus universitari, e soprattutto nelle conversazioni online. I giovani, così, non sono più solo spettatori, ma attori principali di tutte le nuove trasformazioni culturali. In questo clima di condivisione e polarizzazione politica, emergono leader che diventano simboli di una nuova generazione americana, e uno di questi è stato Charlie Kirk…
Kirk era un attivista politico conservatore statunitense, noto soprattutto per essere il fondatore e il presidente di Turning Point USA (TPUSA), un’organizzazione nata nel 2012 con l’obiettivo di promuovere valori conservatori tra gli studenti delle scuole superiori e delle università. Kirk è morto il 10 settembre scorso, assassinato mentre parlava durante un evento alla Utah Valley University. Fino al giorno della sua morte veniva seguito da milioni di giovani per i suoi modi intraprendenti e sicuri, i suoi pensieri conservatori e le sue visioni tradizionaliste. Spesso usava affermazioni nette e radicali per indicare diverse categorie di persone (ragazzi LGBTQ+, musulmani, immigrati, “woke”) non solo come avversari politici, ma come “minacce” culturali e morali, alimentando strumentalmente le ostilità nei loro confronti. Inoltre, sosteneva che un numero piccolo o grande di morti sia un “prezzo da pagare” per conservare la libertà di possedere armi (una presa di posizione spessa considerata figlia di un atteggiamento disumano verso le vittime) o ancora, minimizzava le sofferenze dei palestinesi o sosteneva le discriminazioni razziali venendo additato come totalmente insensibile. Kirk, inoltre, attraverso Turning Point USA, ha influenzato studenti universitari e liceali con eventi, tour e dibattiti molto seguiti.
I suoi sostenitori lo vedevano come un difensore della libertà di parola, in grado di mettere in discussione il conformismo culturale e le ideologie imposte. Per molti, il fatto che sfidasse temi tabù come aborto, identità di genere, immigrazione e religione, era positivo, perché dava voce a una parte dell’opinione pubblica che si sentiva esclusa dal discorso dominante. Per i suoi sostenitori, quindi, Charlie Kirk è stato e resta una figura chiave nel tradizionalismo americano contemporaneo, soprattutto per i giovani. Chi lo critica vedeva invece in lui non soltanto un politico o attivista controverso, ma qualcuno che usava retoriche che possono degenerare in odio o che perlomeno contribuivano a creare un clima di ostilità sociale verso certe minoranze o posizioni culturali. Per questo la sua politica veniva definita come “la politica dell’odio”, pur essendo in grado di influenzare ugualmente pensieri, voti ed elezioni.
Kirk era anche un grande sostenitore di Trump e le reazioni di quest’ultimo al suo assassinio hanno finito con l’enfatizzare la divisione, a dare una connotazione politica al colpevole e a mobilitare il fronte conservatore. Le sue parole non hanno sfruttato solo il lutto, ma il potenziale politico del gesto. Differente è invece il messaggio della moglie Erika che, pur condividendo la fede e la causa conservatrice, ha alla fine espresso sentimento di perdono nei confronti dell’assassino, formulando una risposta risposta che richiama valori religiosi e spirituali piuttosto che quelli esclusivamente politici.
A mio parere Kirk diventa, con la sua morte, un vero e proprio simbolo, al quale vengono date diverse interpretazioni: c’è chi lo vede come un uomo meschino e insensibile, pronto a qualsiasi tipo di affermazione pur di arrivare a i suoi scopi e considera quindi la sua politica una forma espressiva da arginare, e chi, invece, lo vede come un martire e un leader, non solo politico ma anche spirituale, poiché legge gli attribuisce un comportamento anticonformista che in grado di ergersi a paladino delle idee e della libertà di espressione a qualunque costo. Questo comporta il rischio di semplificazioni e polarizzazioni ancora più marcate su un argomento già di per sé molto delicato, come dimostra del resto il fatto che anche nel nostro Paese, dove già da tempo si dibatte sulla difesa dei valori “tradizionali”, la morte di Kirk è stata usato dalla politica come strumento di denuncia di un presunto clima d’odio interno. Questo perché anche in Italia c’è un clima di resistenza verso le culture diverse e politici e personaggi pubblici usano spesso i social come piattaforme non solo per comunicare, ma per mobilitare, per segnare i confini tra amici e nemici, per ricorrere a slogan forti, simboli polarizzanti, e spesso, purtroppo, i contenuti di odio ottengono molta visibilità. Nel nostro Paese esistono però una legislazione e diversi limiti giuridici alla diffusione della “politica dell’odio”. Già nel 1993, infatti, è stata promulgata la Legge Mancino che punisce discorsi, gesti e slogan che incitano all’odio razziale, etnico, religioso e nazionale. Tuttavia, come spesso accade e in virtù anche del periodo storico in cui è stata formulata, la legge prevede certi tipi di discriminazione ma non tutti (l’orientamento sessuale, l’identità di genere e la disabilità) non garantendo, al netto delle successive integrazioni al testo, la piena tutela di tutte le categorie.
La morte di Charlie Kirk, pur avvenuta oltreoceano, ha insomma riacceso anche in Italia il dibattito su argomenti spesso sfruttati durante le campagne elettorali: la polarizzazione politica, la percezione della doppia morale, la strumentalizzazione del dolore, divenendo un campanello di allarme relativo alla possibilità che l’odio possa già oggi essere radicato anche nelle nostre istituzioni, nella cultura politica e diventare terribile stella morale della vita pubblica. Cosa possiamo fare, allora, affinché questo processo non si concluda? Contrapporci con coraggio e consapevolezza alla politica dell’odio, non semplicemente indignandoci, ma impegnandoci tutti i giorni in modo vero e coerente, a difesa dei nostri valori ma senza mai perdere di vista la tutela dei diritti dell’altro che dovrebbe contraddistingue una società che voglia dirsi veramente umana.
Foto di Gage Skidmore from Surprise, AZ, United States of America – Charlie Kirk, CC BY-SA 2.0




