Attualità

Sanremo: il Festival che riflette le contraddizioni dell’Italia

«Hai bloccato il Paese, Carlo. Puoi fare il ministro del Trasporti!»
Con questa battuta, Roberto Benigni si è rivolto a Carlo Conti racchiudendo in poche parole un fenomeno che va oltre il mero riferimento politico e che sintetizza l’intero scenario socio-culturale vissuto in Italia nell’ultima settimana. Per sei giorni, il Festival di Sanremo ha monopolizzato il dibattito pubblico, influenzando persino chi si occupa di politica in modo più rigoroso, costringendo tutti – volenti o nolenti – a confrontarsi con i temi e le dinamiche dell’evento musicale più discusso del Paese.
Anche chi, come me, non ha seguito nemmeno un minuto del Festival in diretta, si è trovato costantemente informato su tutto ciò che accadeva tra le mura del Teatro Ariston. Questo perché Sanremo non è solo una kermesse musicale, ma un fenomeno mediatico che invade ogni spazio del discorso pubblico, trasformando anche la più banale delle opinioni in un campo di battaglia ideologico ed estetico. Il Festival non si limita alla musica, ma diventa un catalizzatore di tematiche politiche, culturali e sociali che rimbalzano incessantemente sui media, alimentando polemiche, dibattiti e riflessioni che spesso travalicano il contesto artistico per diventare simbolo di tensioni più ampie presenti nel Paese.
Pur senza aver assistito allo spettacolo televisivo, ho ascoltato tutte le 29 canzoni in gara, maturando un’idea precisa non solo sulla qualità musicale e testuale, ma anche sul clima culturale e sociale che ha accompagnato la manifestazione. Se c’è un elemento che emerge con chiarezza, è che il cantautorato italiano gode ancora di una buona salute, sebbene soffra una certa omologazione tematica. L’impressione è che troppi artisti tendano a muoversi entro binari narrativi ormai abusati, reiterando formule espressive che, per quanto efficaci, risultano prive di slancio innovativo. Eppure, all’interno di questo panorama, alcuni nomi hanno saputo distinguersi per originalità e freschezza, come Vale LP e Lil Jolie o i Comacose, mentre artisti come Simone Cristicchi, Lucio Corsi e il nostro Brunori Sas hanno saputo evocare emozioni attraverso linguaggi diversi, ma tutti egualmente efficaci.
Ma tutto questo non è bastato. L’Italia non ha digerito Sanremo o, meglio, ha trovato il modo di polemizzarlo a ogni livello. Non c’è stata canzone, esibizione o scelta artistica che non sia stata oggetto di critiche spesso contraddittorie. Dando continuità a quanto affermavo nel mio editoriale della scorsa settimana basta osservare l’andamento schizofrenico della stampa, che ha osannato e poi demolito Cristicchi nel giro di poche serate o al trattamento riservato a Fedez, al quale va riconosciuta una capacità invidiabile di evitare le polemiche per far parlare solo la sua musica.
Anche la figura di Carlo Conti, al timone del Festival, è stata oggetto di giudizi contrastanti: se lo scorso anno il pubblico si lamentava degli eccessi e dei ritardi di Amadeus, questa volta è stato il rigore del nuovo conduttore a risultare indigesto. E non è mancata la consueta querelle sulla composizione della finale: chi in passato si opponeva alla logica delle quote rosa ha trovato motivo di scandalo nell’assenza di donne nella cinquina dei finalisti. Su questo punto, trovo particolarmente lucida la riflessione dell’amica Federica Roccisano, che ha scritto sui social: “L’arte non può avere genere. Mi sarei scandalizzata se i testi fossero stati sessisti o poco rispettosi delle donne, ma non è il caso di nessuna delle canzoni arrivate sul podio, tutte decisamente gentili”. L’attenzione a queste dinamiche dimostra come il Festival sia ormai ben più di un evento musicale, ma una piattaforma su cui si giocano partite più grandi, che toccano la sensibilità collettiva e il bisogno di rappresentanza culturale.
Ne è la prova anche il cosiddetto complotto Marta Donà, esploso dopo la vittoria di Olly, segno di come il Festival sia diventato una sorta di arena in cui ogni dinamica viene amplificata e trasformata in una narrazione antagonistica. Ogni scelta artistica, ogni risultato, ogni dichiarazione viene vivisezionata, interpretata e, spesso, strumentalizzata, confermando la tendenza italiana a vivere gli eventi culturali come una questione di vita o di morte.
Alla luce di tutto questo, è inevitabile riconoscere che Sanremo è davvero lo specchio del Paese, ma non per ciò che accade sul palco dell’Ariston, bensì per il modo in cui l’opinione pubblica lo recepisce e lo racconta. L’Italia si conferma un luogo in cui il dibattito si polarizza con estrema facilità, in cui l’espressione di un gusto personale diventa un atto politico assoluto e l’incapacità di accettare la diversità di vedute si traduce in uno scontro permanente. Forse è proprio questa attitudine a irrigidire il confronto e a trasformare ogni evento in un referendum sulla moralità pubblica ci impedisce di dare stabilità ai nostri governi e di accogliere con serenità i cambiamenti che una società in continua evoluzione ci impone. In fondo, Sanremo non è solo un Festival: è il palcoscenico su cui l’Italia mostra, anno dopo anno, le sue contraddizioni, le sue passioni e le sue infinite discussioni.

Foto: notizie.virgilio.it

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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